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morfologiche sono diverse da quelle presenti nelle zone
montuose dei Nebrodi e dei vicini monti Peloritani, che
sono invece composte solo da rocce arenarie e calcaree.
Orbene, l’altipiano dell’Argimusco fa parte integrante dei
monti Nebrodi. Il che è un vero e proprio mistero, e a
riguardo si possono fare due ipotesi: la prima è che
questo particolare tipo di roccia esista in natura solo
sull’altipiano dell’Argimusco, il che sembra poco probabile se non impossibile; la seconda è che questo particolare materiale roccioso provenga da altrove, per cui c’è
da chiedersi da dove fu prelevato, e con quali mezzi fu
trasportato fino a raggiungere questo altopiano.
A parere del mio amico geologo professore Ernesto De
Paola che purtroppo è passato a miglior vita ma che era
presente nel corso dell’escursione in argomento, il materiale roccioso dell’Argimusco potrebbe presentare le
stesse caratteristiche morfologiche delle rocce che si
trovano nell’Appennino Calabro. Ammettendo che i materiali rocciosi presenti nella predetta località siano identici a quelli che sono presenti ad Argimusco, anche se a
riguardo ciò non è stato ancora accertato da alcuna
analisi di laboratorio, rimarrebbe l’enigma dei mezzi tecnici che in tempi remoti furono impiegati per il loro
trasporto. E’ superfluo sottolineare che l’eventuale
trasporto dei megaliti si sarebbe presentato assai difficoltoso e arduo, poiché i relativi mezzi di trasporto avrebbero dovuto affrontare tragitti impervi e scoscesi. Inoltre,
per spostare anche sul posto i singoli megaliti ed allinearli
secondo un perfetto orientamento astronomico sarebbe
stato indispensabile impiegare, per lo meno, mezzi tecnologici all’avanguardia come le attuali gru, oltre che
beninteso disporre di un’approfondita conoscenza astronomica del Sole, della Luna e delle costellazioni. Per
quanto mi è dato sapere, fino ad oggi in questo sito non
sono stati eseguiti scavi archeologici, né sono state
effettuate analisi sul luogo, per potere appurare sia
l’esatta composizione chimica dei megaliti e dei minerali
presenti nel sottosuolo, sia l’età da attribuire ai vari megaliti. Il primo “menhir” che si osserva in località Portella
Cerasa, oltrepassando l’attuale ingresso di questo sito e
procedendo per un breve sentiero in direzione sud –
ovest, è alto circa 10 metri, ed è piuttosto consistente ed
obeso. Questo megalite osservato frontalmente reca un
solco verticale incavato nella roccia simile alla forma di
una vulva, e per questo motivo si potrebbe definire “Menhir femminile”. Il secondo che si trova poco più avanti, a
una distanza di una decina di metri, meno obeso ma più
slanciato del precedente, raggiunge un’altezza di circa
20 metri, ed essendo falliforme può essere denominato
“Menhir maschile”. Questi due “menhir” che potrebbero
rappresentare il genere umano, si trovano posizionati da
nord verso sud, e perciò seguono la correlata linea energetica che passa dalle isole Eolie e prosegue verso il
vulcano Etna, i monti Iblei, raggiungendo e superando le
isole di Malta. In una posizione laterale rispetto al “Menhir
maschile” è collocato un masso roccioso di dimensioni
più modeste, allineato da ovest verso est. Si tratta di un
masso a forma di “Sella”. In una zona che si trova a sud
– est dall’ingresso del parco, si erge solitario un blocco
megalitico, costituito da più articolazioni rocciose connesse tra loro, in modo da formare un unico monumento,
che riproduce le sembianze di un’”Aquila” dalle ali semi –
spiegate, e che perciò assume la posizione tipica di un
rapace che si appresta a spiccare il volo. Nella parte che
costituisce la base posteriore di questo colosso si possono osservare pietre perfettamente sferiche, dal diametro
di circa 30 cm., due delle quali si trovano attualmente
incastrate nelle rocce che fanno parte della base di
questo monumento, altre sono posizionate nei dintorni e
altre ancora sono distribuite in buona parte del sito. Le
sfere di pietra che recano un diametro che può variare
dai 2 cm ai 3 m., connotano i siti archeologici. Se ne
trovano, infatti: sul Monte San Basilio e nei Campi Leontini; a Monte d’Accodi, in Sardegna; a Gozo e a Tarxien,
nell’isola Malta; in Boznia Erzegovina; in Costarica;