N. 3 - Keith Haring
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I lavori durarono una settimana, le perplessità di alcuni rimasero anche a opera finita? Quali furono le reazioni e i commenti dopo l’inaugurazione?
«Bisogna ricordare che l’opera era stata realizzata in uno spiazzo usato come stazione di servizio delle Autolinee Lazzi. E in effetti, fino a quando la stazione non fu trasferita in altra sede, era difficile apprezzare quel contesto, alquanto degradato, nonostante la grande qualità dell’opera».
La città, l’Università, le scuole capitalizzarono la presenza di un artista così importante a Pisa? Furono organizzati incontri pubblici, dibattiti, lezioni aperte?
«No. O comunque, all’inizio, in modo molto marginale. Solo negli ultimi anni è stata pienamente compresa l’importanza di pensare e realizzare un restauro conservativo del bene. Oggi l’opera è protetta; ed alcuni dipartimenti universitari (Chimica, Istituto di conservazione e valorizzazione dei beni artistici) sono impegnati in un monitoraggio annuale sullo stato di conservazione del dipinto».
L’ultima domanda. Una curiosità. Ma, quali saranno stati i motivi che spinsero un giovane newyorkese all’apice del successo, richiesto in ogni parte del mondo, le cui opere (pur essendo un contemporaneo) erano già iper quotate, a scegliere proprio Pisa per lasciare la sua più importante testimonianza?
«Non sono in grado di parlare delle attrazioni che Pisa aveva esercitato su Haring. Nei pochi momenti di incontro, in Comune, era comunque possibile cogliere nel suo sguardo elementi di gioia per quanto stava realizzando, per l’insieme delle relazioni che stava costruendo. Mi sembrava convinto che, a cose fatte, la città avrebbe apprezzato il suo lavoro e che sarebbe tornato a Pisa per cogliere in pieno i frutti del suo lavoro. Purtroppo non ne ha avuto il tempo».