Tuttomondo Magazine
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proveniva da quei graffiti (il bisogno di risposte al malessere sociale, l’importanza dei diritti delle persone...) creava interesse, soprattutto tra le giovani generazioni. La giunta affidò a Bani l’incarico di buttar giù un piano operativo, per verificare la fattibilità del progetto. Ovviamente, in quella fase, nessuno era in grado di percepire l’importanza del progetto, una volta realizzato; resta il fatto che la giunta decise per un atto di fiducia verso le capacità artistiche e la proposta culturale di Keith Haring».
Pisa non è una città semplice, è una città piccola ma ricca di storia, ha una tradizione secolare, è stata una grande città in passato e ha dato natali importanti, quindi spesso il suo passato pesa moltissimo e la città si ritrova a volte prigioniera tra passato e presente, tra tradizione e innovazione. Come reagì l’Amministrazione, alla fine anni Ottanta di fronte all’idea di realizzare in pieno centro storico un’opera di una modernità sconvolgente?
«La discussione non fu semplice. Più che la localizzazione nel centro storico, le maggiori contrarietà – alcune anche interne alla giunta – si manifestarono circa la proposta di utilizzare la parete della chiesa di S. Antonio Abate, di proprietà del Comune. Le prime riserve vennero dalla Soprintendenza ai monumenti, rispetto alla tutela di un bene monumentale quale è la chiesa.
E in tanti, in città, si accodarono alle riserve della Soprintendenza».
Questo dibattito fu solo un problema interno alle istituzioni o anche la città ne fu coinvolta? Come si riuscì a risolvere la questione, quali furono le argomentazioni vincenti?
«Ci furono anche strumentalizzazioni politiche, perché le elezioni amministrative si avvicinavano. C’erano già allora polemiche che, purtroppo, oggi hanno preso forza: incomprensione per i "diversi", la difesa della “pisanità” contro qualsiasi forma di contaminazione. Ma la parola decisiva - che fece cadere la protesta per l’oltraggio che si sarebbe arrecato alla chiesa – fu quella del parroco di S. Antonio, un missionario brasiliano, che ben conosceva miseria e disperazione; il parroco parlò quel linguaggio che oggi molti apprezzano e che viene dalla bocca di Papa Francesco».
A questo punto rimaneva “solo” il problema di quale muro scegliere. Ci furono diverse opzioni e come avvenne la scelta?
«C’erano altre due opzioni: il muro della Scuola S. Anna – in Piazza Martiri della Libertà, da poco istituita (in pessimo stato di conservazione); e la costruzione ex novo di un muro nella zona di Pisanova, un quartiere che stava crescendo come somma di singole lottizzazioni autonome e che aveva bisogno di trovare una sua anima. Certamente la soluzione migliore era la chiesa di S. Antonio, per la sua collocazione nel percorso turistico urbano Stazione-Duomo».
Così una volta che tutto fu stabilito Keith Haring, nel 1989 arriva a Pisa. E’ giugno. Il giovane artista si trova quindi catapultato nel pieno del “giugno pisano”. Rievocazioni storiche, regate, gioco del ponte, un trionfo di pisanità, che sicuramente è stata intercettata dalla sua estrema sensibilità di artista.
La città di Pisa invece come ha reagito e come ha percepito la presenza di un così grande artista in città?
«Haring trova dalla sua parte la gioventù pisana; fu questo a determinare il successo dell’iniziativa. La partecipazione giovanile proprio alla fase di costruzione del dipinto fu entusiasmante. Haring andava avanti nella preparazione della base del murale e, a seguire, i giovani completavano la colorazione».