La lettera. Che fine faranno
gli avvocati dopo l'epidemia
SudOnLine
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Caro direttore,
sono diverse le categorie professionali che hanno unito l’impatto della pandemia da Coronavirus, in primo luogo quelle del turismo e della ristorazione. Ma un metro dopo seguono i professionisti che compongono lo zoccolo duro dell’esercito delle partita Iva, gli avvocati, oggi in piena implosione professionale da stato di emergenza bellico.
Tanti studi Legali non usciranno indenni da questa catastrofe e chiuderanno i battenti.
Certo nelle strategie di Paese in guerra la priorità va alla tutela della vita, come primo pensiero. Ma diciamo la verità con franchezza e fuori dai denti. Medici e infermieri hanno un futuro, chi ricopre un ruolo nelle istituzioni locali e nazionali si ripresenteranno al voto con i meccanismi di selezione di sempre e conserveranno poltrone ed incarichi. Qualunque saranno gli sviluppi, statali, parastatali e pensionati sono al sicuro.Gli avvocati invece fanno parte della ampia schiera priva di protezioni, senza clienti e senza lavoro.
Il mondo della giustizia ed i suoi (troppi) avvocati già versavano in una situazione piuttosto grave. Sembra che le sorti della categoria siano state prese“sottogamba” dal Governo in questa fase di stallo determinato dalla emergenza Covid 19.
Ancora: le PMI, gli artigiani e figure affini hanno Confindustria e le altre associazioni di categoria che, insieme ai sindacati, hanno dialogato e possono continuare a farlo con il Governo per cercare insieme strategie di salvezza e misure di intervento, in un modo o nell’altro. Ma per gli avvocati è più difficile anche perché manca un equilibrio gestionale assicurato da un soggetto che abbia peso specifico nel confronto con le istituzioni.
L’ Avvocatura, che era baluardo della democrazia e del diritto, é crollata senza un progetto economico di circolazione moneta che la sostenga e faccia lavorare. I sondaggi reali, non teorici, dei colleghi di altri ordini parlano di un possibile crollo dei fatturati per assenza di attività. Le spese per imposte e tasse di studio non coperte da flussi di ingresso, fanno sì che raggiunto il livello di rosso e di massimo scoperto che concesso dalle, farà prendere la decisone dell’estremo sacrificio: chiudere.
D’altra parte se uno studio legale resta fermo per due o tre o quattro mesi, il rischio serio è di non riaprirlo mai più. Resisterà solo chi ha rendite di famiglia e cioè chi é ricco di suo, an che se come sappiamo questa condizione non corrisponde sempre a chi è bravo e capace.
Glistudi legali più noti, pochissimi in Italia, tengono l’attività al riparo anche per un periodo lungo, perché continuano a lavorare, in regime di smartworking, magari a scartamento ridotto con aziende pubbliche e private di cui sono consulenti. Invece, chi è al servizio della grande maggioranza delle imprese piccole e micro, che costituiscono il tessuto produttivo del Paese, pagheremo pegno. Ed oggi che per effetto di un decreto dobbiamo stare chiusi a casa, non è affatto facile.
Il Governo non sa guardare alla nostra categoria di avvocati. Si inventano soluzioni non praticabili per i più, come i 500 euro agli avvocati che hanno la gestione separata INPS, sapendo però che l’80% di noi ha una diversa cassa Forense, e quindi neanche li percepirà.
Intendiamoci. La chiusura tribunali fino al 15 aprile è stata indispensabile come tutela dei luoghi di lavoro degli avvocati, come di magistrati e cancellieri, ma non collima con la previsione del picco da contagio a metà aprile.
Insomma, manca una strategia salva-avvocati. Anche perché tutti sono connessi ad internet e credono che ciò basti per trovare soluzioni ai problemi legali.
Come avvocati siamo abituati a gestire la difficoltà, la complessità, e finanche essere osteggiati da magistrati e colleghi di parte avversa, ma è una battaglia quotidiana spesso leale e eticamente sostenibile. Ma essere “affondati” e di fatto dichiarati “estinti” a causa della scarsa attenzione delle istituzioni di governo, è una prospettiva amara e francamente del tutto inconcepibile.
Claudio Panarella
corrisponde sempre a chi è bravo e capace. Glistudi legali più noti, pochissimi in Italia, tengono l’attività al riparo anche per un periodo lungo, perché continuano a lavorare, in regime di smartworking, magari a scartamento ridotto con aziende pubbliche e private di cui sono consulenti. Invece, chi è al servizio della grande maggioranza delle imprese piccole e micro, che costituiscono il tessuto produttivo del Paese, pagheremo pegno. Ed oggi che per effetto di un decreto dobbiamo stare chiusi a casa, non è affatto facile.
Il Governo non sa guardare alla nostra categoria di avvocati. Si inventano soluzioni non praticabili per i più, come i 500 euro agli avvocati che hanno la gestione separata INPS, sapendo però che l’80% di noi ha una diversa cassa Forense, e quindi neanche li percepirà. Intendiamoci. La chiusura tribunali fino al 15 aprile è stata indispensabile come tutela dei luoghi di lavoro degli avvocati, come di magistrati e cancellieri, ma non collima con la previsione del picco da contagio a metà aprile.
Insomma, manca una strategia salva-avvocati. Anche perché tutti sono connessi ad internet e credono che ciò basti per trovare soluzioni ai problemi legali. Come avvocati siamo abituati a gestire la difficoltà, la complessità, e finanche essere osteggiati da magistrati e colleghi di parte avversa, ma è una battaglia quotidiana spesso leale e eticamente sostenibile. Ma essere “affondati” e di fatto dichiarati “estinti” a causa della scarsa attenzione delle istituzioni di governo, è una prospettiva amara e francamente del tutto inconcepibile.
Claudio Panarella