te confermata dal punto di vista stilistico. Si tratta di una statua, di una figura
ispirata, eseguita, direi, con trasporto, con intensa partecipazione, un’immagine
dolce, familiare, umanissima, così come Giovanni d’Enrico doveva aver sempre immaginato l’ideatore della Santa Montagna varallese. Un fraticello umile,
semplice, dimesso, tutto intento ad osservare, a contemplare ed a far ammirare
la sua creatura, la Nuova Gerusalemme, come una Madonna guarda estasiata il
suo Gesù Bambino che tiene tra le braccia, come San Giuseppe in atto di affettuosa paternità verso il piccolo Figlio di Dio.
Idea geniale, ardita, folgorante, di indiscutibile efficacia il porre il modellino
del Sacro Monte tra le mani del Beato, così come avveniva, è vero, con tante immagini di santi in veste di patroni di città, di conventi e monasteri. Cito solo un
esempio fra i tanti, ma molto più convenzionale, di maniera, la statua lignea di
San Secondo ad Asti, patrono della città. Ma qui non si tratta di un santo protettore, scelto dagli abitanti, che mostra la sua città. È invece l’ideatore, l’inventore, il realizzatore di un progetto ardito, originale, tutto suo. Vi è quindi una
relazione intima, diretta, palpitante, amorosa nello sguardo dolcemente compiaciuto, nel sorreggere, quasi con trepidazione la Nuova Gerusalemme, adagiata con grande cura sulla terrazza del Monte, come su una nube o su un soffice
cuscino. L’umile fraticello zoccolante, scalzo, con il saio logoro, con toppe qua e
là e profondamente vero come la corda coi nodi, sembra meditare assorto, quasi
incredulo di fronte ad una realtà così grandiosa. E qui il compiacimento dà l’impressione di trapassare dal Caimi allo statuario, che ammira, anche lui, il “suo”
Sacro Monte, non più cosi’come lo aveva visto da giovane umile, modesto, poco
appariscente alla fine del Cinquecento ed all’inizio della sua carriera, ma imponente come lo lascia ora nel 1638, ingrandito, trasformato, sviluppato con
la costruzione della chiesa nuova (sebbene non completata), che spicca appena
dietro alla cinquecentesca residenza dei frati, dove aveva soggiornato San Carlo,
con le cappelle più in vista, che si affacciano sulla parete dominante Varallo.
Se prima lo statuario nelle tante scene della passione del Signore aveva dato
sfogo alla tensione drammatica, allo scatenarsi delle passioni umane nell’impeto
corale di composizioni animate da decine e decine di figure, qui si raccoglie ad
esaltare il sentimento interiore di un’unica figura, il silenzio meditativo, come
gli era capitato raramente, con il San Gerolamo nella grotta lungo la salita verso
il Monte, fatto eseguire dai Torrotti, o nel San Pietro penitente (1638-39) nella cappella omonima, modellato pressochè nello stesso anno, o subito dopo la
statua di Fra’Bernardino. Il d’Enrico aveva a portata di mano qualche ritratto,
qualche immagine del Caimi a cui ispirarsi? Sappiamo solo di due raffigurazioni
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Cappella - 42