classico del Manno, è così formato: “Arma d’argento alla fascia troncata di rosso e di nero e di una banda scaglionata di scaglioni alternati di rosso, di nero e
d’argento”. Così è raffigurato sul portoncino, datato 1543, del Palazzo d’Adda
di Varallo, di fronte al ponte sul Mastallone, con in più al capo un’aquila, forse
quella dello stemma della valle. Più spesso però l’arma degli Scarognini appare
bipartita in due campi accostati: il primo quello già descritto; il secondo con un
leone azzurro rampante, coronato, in campo bianco (ossia d’argento).
Così è raffigurato sul portale tardogotico al centro della facciata del Palazzo
d’Adda; così è ripetuto nei blasoni affrescati sulla facciata dello stesso palazzo; così ancora è rappresentato nei peducci della volta antistante alla cappella
di San Francesco al Sacro Monte. Ritengo che tale stemma più complesso sia
stato adottato dagli Scarognini accostando al loro per alleanza matrimoniale
quello del Ferrero di Biella, costituito appunto da un leone d’azzurro rampante
in campo d’argento, quando Giovanni Antonio Scarognini, ultimo del casato,
sposò Dorotea, figlia del magnifico signore Enrico Ferrero, capostipite del ramo
dei Ferrero di Biella marchesi della Marmora. Qui, sulla volta della campata antistante al Santo Sepolcro, nell’enfasi celebrativa barocca i blasoni risultano volutamente tre: dei d’Adda, degli Scarognini (come descritto dal Manno) e terzo
quello col leone rampante.
Tutt’attorno si sviluppano elementi decorativi a larghe fasce snodate, accavallate, intrecciate, flessuose, che fanno pensare non tanto a quelli più sobrii
di Francesco Leva, già giudicati piuttosto modesti dal Galloni, quanto ad altri,
come quelli che decorano i pilastri e le lesene nell’interno della Basilica o l’arcata d’ingresso alla cappella di San Antonio in San Maria delle Grazie ai piedi del
Monte, che penso debbano riferirsi al valente decoratore varallese Camaschella,
della prima metà del Settecento, attivo in alta valle, nel Biellese e soprattutto
nel Canavese. La parete della campata, che è la parete originaria di facciata del
Santo Sepolcro, cioè dell’edificio sacro iniziale, del nucleo di base tutto il Sacro
Monte, da cui prenderà avvio e sviluppo lo straordinario complesso, si presenta,
anzi, si squaderna non solo come un fondale sontuoso, ma come una raccolta
unica, eccezionale lì condensata, quasi uno scrigno, contenente testimonianze,
documenti quanto mai preziosi e basilari dei primordi della Nuova Gerusalemme varallese. Ed è nello stesso tempo come un trionfale e fastoso paravento, un
fondale scenico ad affresco di ricca ornamentazione barocca, attraverso il quale
si penetra, con forte e voluto contrasto, negli umili, angusti e spogli ambienti
veri e propri del Sepolcro. Al centro la modesta porticina d’ingresso, quasi oppressa da tanto fasto, delimitata da un sottile architrave marmoreo modanato,
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