Se mi vuoi ancora
Carla ascoltò il segnale orario della tv: erano le nove e mezzo di sera.
"Molto strano. Non ha telefonato, non ha lasciato un biglietto, un messaggio di qualsiasi
tipo... niente di niente", pensò tra se mentre si alzava per sgombrare il tavolo dai resti della
sua solitaria e ristretta cena. Ultimamente si era appassionata, o fissata, con gli yogurt ai
frutti di bosco, perlomeno così era riportato sull'etichetta. Mentre posava nel cestino la
confezione ormai vuota del suo alimento preferito del momento, sentì il 'verso' del citofono.
Era quasi un mese che non si riusciva a capire una parola di quel che passava dentro. A
causa di qualche contatto difettoso, quando era attivato, si esprimeva come un improbabile
uccello esotico.
Carla non ci provò nemmeno a chiedere chi fosse, spinse semplicemente i tasti per aprire
la porta centrale e per l'illuminazione nelle scale. Pensò che fosse Gabriele. Era già successo
che dimenticasse le chiavi al lavoro. Quando, nonostante avesse lasciato la porta aperta,
sentì bussare discretamente, Carla realizzò con disagio che, primo, non poteva essere
Gabriele, e secondo, che si era comportata con molta leggerezza. Se alla porta ci fosse stato
qualche malintenzionato, stava rischiando di passare un brutto quarto d'ora. Con molta
apprensione si diresse verso la porta. Non sembrava un malintenzionato: quelli non bussano.
Anzi, a dirla tutta, era un tipo intimidito dalla situazione:
– Mi scusi. Sono veramente costernato di piombarle in casa... a quest'ora. Ma le assicuro
che non ho potuto farne a meno, non so come sia successo, ma... non avete mica la sagra
della sfiga nei dintorni? – disse guardando negli occhi Carla che non potette fare a meno di
sorridere. Poi continuò, – a circa tre chilometri da qui ho dovuto cambiare una gomma.
Sono risalito in macchina. Io non gioco quasi mai la schedina. Sabato scorso l'ho fatto. Sono