Un amore comune
Erminia rovesciò le sedie sui tavoli e cominciò a spazzare. C'era di tutto su quel
pavimento: cicche, un biglietto d'autobus usato, una lista della spesa, una gardenia ormai
secca e... tanta speranza. Tanta che ne fece un cumulo. Un cumulo di speranza abbandonato
insieme al rossetto sull'orlo dei bicchieri.
Il bar dove lavora Erminia si trova in periferia. E' perfettamente anonimo. Questa qualità,
insieme alla licenza di chiudere tardi che Gregorio, il proprietario e barista, era riuscito ad
ottenere, ne facevano il luogo adatto per incontri fugaci: giusto una scusa per fermarsi a bere
qualcosa per poi, o programmare la serata se la notte era giovane, o, in caso contrario,
decidere di andare a disfare un letto. Le ragazze, a volte, arrivavano accompagnate da
giovanotti con aria stupidamente arrogante.
I più informati sul bon-ton entravano prima della loro più o meno occasionale compagna.
Un modo, questo, giudicato negativamente anche da Erminia, almeno fino a che non imparò
proprio da uno di questi spacconi in cravatta che:
– Carina, vedo che sei male informata: il vero cavaliere entra sempre per primo, per
assicurarsi che l'ambiente sia sgombro da eventuali pericoli per la sua dama.
Gli altri, invece (ovvero la maggioranza), di fronte all'entrata si buttavano da un lato con
il sorriso d’occasione e i pantaloni col rivolto sulle scarpe, cedendo il passo e credendo di
risultare inappuntabili galantuomini. D'altro canto, anche la maggior parte delle ragazze era
convinta della bontà del gesto. E poi, probabilmente, con l’emancipazione le donne ci
badano poco a questi dettagli.
Non la pensa così, forse, la sua amica Michela?:
– Erminia, gli unici uomini che posso sopportare, sono quelli con addosso i segnali
inconfutabili del loro status d’appartenenza al sesso maschile, le confidava con enfasi e