MYLÈNE JAMPANOÏ
tre atti sono perfettamente amalgamati.
Si è voluto precisare che ogni singolo
atto avrebbe potuto costituire un
film a sé stante semplicemente per
chiarire che la nuova pellicola di
Laugier, a discapito di quanto è stato
affermato con superficialità da una
certa parte della critica, non si inquadra
in un genere cinematografico preciso
e, soprattutto, non è una ridicola
emulazione di determinate pellicole
di genere Horror americane fra cui
l’insulso “Hostel” né di quelle orientali,
fra cui ricordiamo alcuni capolavori
dell’ottimo Takashi Miike.
Martyrs non cade nel grottesco, né
sdrammatizza mai facendo ricorso ad
un qualche genere di ironia o di humour
nero.
Pascal Laugier si propone con successo
di affrontare una vasta serie di
tematiche e per raggiungere il proprio
scopo attinge a moltissimi elementi
del cinema di genere, ma senza mai
cadere nel banale né nel ripetitivo.
Egli mescola gli ingredienti con
originalità e dona alla pellicola un taglio
personalissimo e tanto potente sia sotto
un profilo estetico, sia sotto un profilo
narrativo, da imporsi nel panorama
cinematografico mondiale, divenendo
perciò un riferimento e un indice di
paragone con cui d’ora in poi i registi dei
film di genere non potranno evitare di
confrontarsi.
Laugier, che naturalmente è anche
lo sceneggiatore della propria opera,
affronta le proprie ossessioni alla
stregua di come i suoi personaggi si
trovano costretti ad affrontare le
proprie paure. La violenza più brutale,
la sopraffazione, il complesso di colpa,
la ricerca mistica che caratterizza
ogni società che ha raggiunto il punto
del tracollo, la pietà, la desolazione
per quella che è la condizione umana,
la speranza e la disillusione unite al
miraggio dell’uomo di essere padrone
ed artefice del proprio destino, la libertà
e il diritto alla vita sono i principali temi
affrontati dal regista.
IT’S SHINY
34
MAGAZINE
Martyrs è costruito principalmente sul
paradigma dualistico sadiano vittimacarnefice.
Nella storia del cinema la filosofia del
marchese De Sade è stata portata sugli
schermi in tutta la sua più efferata
crudezza una sola volta.
Era il 1975 e il film era Salò o le
120 Giornate di Sodoma di Pier
Paolo Pasolini, fedelmente tratto
dall’omonimo romanzo di De Sade (e più
in generale dagli studi contemporanei
sulla produzione artistica dell’autore
“maledetto”) e solo ingannevolmente
adattato in chiave più moderna.
In questa sede non si vuole instaurare
un confronto fra queste due pellicole
che sono enormemente distanti l’una
dall’altra. Ma restando ancora per
un momento su questa falsa riga, si
potrebbe affermare che Martyrs
sia esclusivamente lo sviluppo e
l’estensione del Girone del Sangue del
film di Pasolini.