sacerdote, ad una ad una, riversò le ceste sul cristallo primigenio. Ogni volta che le viscere sanguinolente entravano a
contatto con la superficie del prisma, una tetra nube di vapori
s’innalzava nella cupola del tempio e i tamburi impazzivano.
Il sacerdote bevve il sangue della fanciulla e ingurgitò il cuore della cavalla. Intonando una formula afferrò nuovamente
il coltello e lo sospinse con violenza nel suo stesso ventre.
Infine, con un unico slancio, si squarciò partendo dal basso
fino all’altezza della gola e si gettò sul cristallo in modo da
farlo entrare nella voragine apertasi nel suo corpo. Un lampo, una vampata di fumo nero e sangue vaporizzato, poi il
cristallo esplose facendo crollare ogni cosa. Le masse terrose su cui si estendeva il dominio di Dokoko furono percorse
da spasmi di possanza. Schiere di rocce e metalli, ruscelli, e
pozze, e torrenti, risvegliati dal richiamo del loro padrone,
risposero all’appello del suo potere. Il rito propiziatorio era
compiuto. Dokoko, il Titano degli inferi, tornò a dominare
sulla materia. Inebriato dal sangue di fanciulla e dal cuore
equino, plasmò se stesso in foggia di donna-cavallo e uscì dal
suo ricetto. Un tremito percorse la radura. Tiamath smise di
masticare e aguzzò i suoi occhi dorati, scrutando i paraggi.
Qualche istante dopo riprese il suo pasto. Uno boato terrificante scosse l’aria, un terremoto sconvolgente fece tremare
la terra. Tiamath spalancò le ali per spiccare il volo ma qualcosa tratteneva la sua coda. Si voltò e vide, con orrore, che
una voragine si era aperta nella terra, un’immensa mano era
emersa in superficie e aveva trovato la coda di Tiamath sul
suo percorso, schiacciandola al suolo. Mentre fiumi di terriccio franavano dalle sue spalle inondando ciò che restava
della radura, Dokoko eresse la sua massa nel cielo e mostrò
la mastodontica testa equina. Alto quanto una montagna, an-
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