sciando sul terreno un groviglio di acciaio e carne.
Il torpore, lento a scomparire, stava perdendo la sua intensità. Un fremito percorse la spina dorsale di Tiamath. Il corpo sussultò e la coda mulinando schioccò una frustata sul
costone annerito della caverna. Macigni, staccati dal colpo,
rotolarono in qualche anfratto. Uno sbuffo nerastro e rovente esalò dalle narici ampie come pozzi, la colossale testa vibrò. Improvvise come lampi nella tempesta, le membrane
esterne degli occhi si dischiusero di scatto, svelando iridi
dorate. Le pupille verticali, nere come le notti dell’inferno,
si dilatarono come le porte dell’abisso, fessure sottili come
lame. La prima cosa che Tiamath mise a fuoco furono i deboli raggi del sole che, penetrando nell’apertura sulla volta
dell’antro, scendevano fin sul fondo illuminando ori, gemme
e brillanti sparsi ovunque. E Tiamath, fauci ardenti, ormai
completamente desto, avvertì il morso della fame. Il collo
della bestia fu percorso da uno spasmo. Le scaglie metalliche che ricoprivano interamente il suo corpo si piegarono
seguendo un’onda di movimento che, dalla base del cranio
cornuto discese lentamente lungo il collo, sul dorso e fino
alla lunghissima coda rostrata. La bestia avvertì il ritorno
della forza, si sollevò e dischiuse le immense ali. Il drago festeggiò il ritorno della coscienza con un lacerante ruggito di
fuoco. La caverna si tramutò immediatamente in un inferno di fiamme brune e roteanti. Una nuvola di fumo nero e
carbonizzato traboccò dal varco dell’antro, sollevandosi nel
cielo sereno sulle Montagne Proibite. Tiamath con un guizzo spiccò il volo ed emerse dalle brulle pendici del monte
come una freccia lanciata verso il cielo. Le sue ali battevano
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