dall’espressione calma e compassionevole di Lavosier. Appena il carro si mosse, al primo sobbalzo caddi in ginocchio
sull’assito e per poco non sbattei la testa contro il parapetto.
L’angoscia del tragitto parve di per sé una condanna, eppure
nulla divenne peggiore del terrore che mi assalì quando ci
condussero sul patibolo. Riuscii a salire gli scalini da solo,
traendo forza dal mio amico e parziale conforto dalle sue
ultime parole: Nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si
trasforma.
La mia coscienza vacillò riflettendo su quella frase rivelatrice. Dal subconscio riaffiorano barlumi di una rimembranza
lontana. Una consapevolezza che mi fece per un momento
perdere il contatto con la realtà, catapultandomi in quel limbo di pensieri fugaci, tipico delle transizioni. Era questo che
mi stava accadendo? La trasformazione da morte in vita e da
vita in morte per una catarsi indecifrabile. Una nave alla deriva senza timoniere, un mutare della materia e dell’anima.
Lavosier, una testa brillante e unica nel firmamento della
scienza. Una testa rotolante dopo il sibilo e lo schianto della
ghigliottina.
Mi misero al suo posto, c’era sangue dappertutto e sentii quel
che restava del mio amico bagnarmi il collo sul legno umido.
Notai il cesto davanti a me, pronto a contenere questa mia
testa, molto meno significativa della precedente.
La paura scomparve, colmata da un improvviso senso di
vuoto. Stavo per morire.
In quel momento non provai alcun pudore davanti alla nera
signora.
Non so come fu possibile, ma vidi la mia testa roteare in maniera anomala, gli occhi vorticare su se stessi e, dopo un breve ansito, udii la folla rumoreggiare un ipocrita sgomento.
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