burattini senz’anima perdevano la testa in una follia istituzionalizzata. Ed io ero uno di loro.
Fino a pochi minuti prima avrei chinato la testa e girato lo
sguardo, piangendo e allo stesso tempo ringraziando dio che
non avessero scelto me. Perché resistere alla morte se avevo
il destino comunque segnato? Lavosier meritava almeno un
gesto. Forse inutile, ma glielo dovevo.
- Prendete me - dissi, fissando diritto negli occhi il carceriere che aveva parlato.
L’altro cacciò una risata grassa, piena. Il secondo di rimando
rise anche lui di gusto, berciando tra gli sghignazzi qualcosa
che non compresi.
- Non preoccuparti - mi disse Lavosier. - Non temo la morte.
Bisogna solo abbandonarsi a essa. - Non ci riesco, voglio vivere, più di ogni altra cosa… Ho paura. - Ricordati che nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si
trasforma. - Vi trasformeremo in cibo per i vermi - grugnì il carceriere
dal viso porcino.
- Portiamoli via insieme - aggiunse l’altro. - Tanto non si reggono nemmeno in piedi. Facciamo un giro unico. Mi alzarono a forza e dovettero sorreggermi affinché non
cadessi. Mi condussero fuori dalla cella. Lavosier camminò
invece fiero, seppure zoppicante. Quando uscimmo dall’ingresso principale la luce era abbagliante e fu come nascere
una seconda volta. Mi spinsero sul carro che ci avrebbe portato sino alla piazza per l’esecuzione.
In quel momento la folla gridò il loro macabro entusiasmo.
Avevo le mani legate dietro la schiena con una corda ruvida e
tagliente. Rimasi in piedi e, ancora una volta, trassi conforto
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