bile esattore di Francia. Eravamo entrambi schiavi del rigore
e dell’etica. Io non avevo fatto in tempo a lasciare la Francia;
lui probabilmente non aveva nemmeno preso in considerazione quella possibilità, nonostante l’avvento della rivoluzione, la caduta della monarchia, la nascita della repubblica
e l’assurdo governo rivoluzionario che ora teneva le redini
del paese con la politica del terrore.
Lavosier, più che un semplice esattore, una mente illuminata, costretto in quel ruolo solo dalla speranza di riuscire a
introdurre nel regno le riforme necessarie per un più equo
sistema monetario e fiscale. Ma più d’ogni altra cosa era uno
studioso, uno scienziato, un chimico eccezionale.
- Riesci a parlare? - insistette Lavosier con aria preoccupata.
- Sì - riuscii a rispondere, subito dopo un paio di colpi di tosse.
- Ho tenuto un po’ d’acqua per te, nella ciotola. Bevi, vedrai
che dopo ti sentirai meglio. - Mi porse la tazza di latta. La
presi e l’appoggiai alle labbra, bagnandomele appena. Poi
presi un piccolo sorso. E il rivolo che scorse giù per la gola
fu di enorme sollievo.
- Sto meglio, grazie. Credo di essere svenuto… Forse per la
fame, ho crampi dappertutto. - Cibo non ne ho - rispose con tono dispiaciuto.
- Da quanto siamo qui? Avevo perso la nozione del tempo. Ero stato catturato e imprigionato: vittima di una rivoluzione che non mi apparteneva e che non osteggiavo, a causa di un diritto di nascita e un
ruolo che mi aveva dato ben poche soddisfazioni e privilegi.
Ero stato condannato a morte. E così anche Lavosier, ma lui
sembrava non scoraggiarsi mai, anzi, mi dava conforto ed io
me ne nutrivo come un fanciullo che abbisogna di tutto.
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