ghie ingiallite, dai lembi della camicia che fuoriescono dai calzoni, sgualciti e logori. Poggia l’intero peso del corpo su un’unica
gamba, la destra, segno che da quella parte conserva ancora un
barlume di sensibilità; di contro, il braccio e la gamba sinistra
paiono quasi inermi, come inutili appendici attaccate al tronco.
L’epidermide è un atlante di vecchie ustioni.
Non dice niente. Si limita ad alzare con fatica il braccio che
regge la pistola, mentre le sue dita incerte cercano il grilletto e
prendono ad accarezzarlo in modo goffo, neanche lontanamente minaccioso. La sua mano e la pistola sono due entità distinte
e lontane, ho questa impressione: le dita non sentono il metallo
più di quanto il metallo non senta il contatto con la carne.
- Ti aspettavo - gli dico, e il suo cuore sobbalza. Lo sento sui polpastrelli.
Lui respira piano, dalla bocca. Sta per dire qualcosa, ma la rivoltella comincia a tremare e per poco non gli scivola via dalla
mano.
- Maledizione - impreca a denti serrati, guardando la pistola. - La
sento a malapena. Il peso lo sento, ed è la part