Nel frattempo il mio assassino è arrivato sul pianerottolo. Sembra lievemente affaticato a causa delle scale, il suo passo è divenuto più pesante. È così vicino che ora posso avvertire le sue
pulsazioni: dal petto scendono lungo il suo corpo e si propagano attraverso le superfici, come increspature sull’acqua. Mi basta
posare la mano sul pavimento per sentirle, e ho l’impressione che
sia un po’ nervoso perché i battiti sono particolarmente accelerati. Ma non ne ha ragione, è qui per farmi un favore: premendo
un semplice grilletto mi estirperà da un’esistenza affastellata di
stimoli odiosi, e mi donerà la pace di un dolce, dolcissimo oblio.
È fermo di fronte alla mia porta, sul pianerottolo. Quando finalmente si deciderà a entrare mi piacerebbe che pronunciasse qualcosa di melodrammatico, qualcosa come “Tempofosco, è
giunta la tua ora, preparati a morire!”
Ma io mi sono già preparato, sono pronto. Fisso la maniglia che
prestosi abbasserà lentamente, mentre la porta cigolerà sui cardini in modo sinistro. Per la prima volta da molto tempo mi sento tranquillo, anche se lo stesso non posso dire del mio assassino
che, invece, deve avere il cuore che gli scalpita nel petto, gonfio
di adrenalina. Lo percepisco limpidamente come se fosse qui,
sotto le mie dita, ascolto le vibrazioni che irradia attorno a sé.
Mi concentro sul ritmo, e aspetto.
La porta si apre con una cautela persino eccessiva, sono quasi
lusingato di meritarmi tanta accortezza. Ma nel momento in cui
lui compare sulla soglia, impugnando una piccola rivoltella nella
mano destra, mi accorgo che tutta quella discrezione è semplicemente dovuta alle sue pessime condizioni fisiche: sembra a malapena in grado di reggersi in piedi, e il suo aspetto malandato,
addirittura peggiore di come lo ricordassi,traspare dalle ciocche
untuose che gli ricadono sulla fronte e sulle tempie, dalle un18