irregolarità avvertibili sulla superficie di un oggetto. Me l’hanno
detto tante di quelle volte che l’ho imparato a memoria, ma la
verità è che nemmeno loro ci capiscono qualcosa.
Ora, immagino siate curiosi di scoprire perché quel gentiluomo
voglia uccidermi, mavi basti sapere che, per noia e senso civico, svariate volte ho messo le mie facoltà al servizio delle forze
dell’ordine, e questo mi ha comprensibilmente attirato le ire di
alcuni personaggi più o meno rispettabili, a cui in fondo non
posso dare torto. Il mio futuro assassino è proprio uno di loro:
in questo preciso istante sta salendo le scale, avverto le vibrazioni cadenzate dei suoi passi sugli scalini. E, come se la sua stessa presenza non fosse già abbastanza inquietante, il gentiluomo
ora sta facendo strisciare la canna della pistola lungo il muro, un
gesto sadico che per i miei polpastrelli ha la stessa consistenza
della carta vetrata.
Comunque potrei ancora salvarmi, se è questo che vi preme sapere. Avrei ancora il tempo di serrare la porta, chiamare la polizia
e barricarmi dentro finché non arrivano. Potrei farcela. Un paio
di proiettili non bastano a scardinare una serratura, nonostante
quello che il cinema vuole farci credere. Ma sto accarezzando
l’idea di non opporre alcuna resistenza, di offrire il mio corpo
alla furia omicida di quell’uomo perché mi liberi da una vita di
costante, insopportabile sovraccarico sensoriale. Una vita in cui
ogni minimo contatto scatena una bufera d’impulsi elettrici nel
mio cervello, costringendolo a elaborare una mole insostenibile
di dati percettivi. Persino il più banale rapporto fisico mi è precluso, anche un semplice bacio: il piacere raggiunge un’intensità tale da confondersi col dolore. Un arabesco di vene, tendini,
muscoli e arterie s’intreccia sotto le mie dita, se solo sfioro il
corpo di una creatura vivente. Nessuno dovrebbe spingersi così
a fondo nella percezione delle cose.
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