sco e duro terreno brullo,al lato della bara metallica piantata in
cima alla collina, mentre il liquido di sostentamento si riversava dall’ abitacolo aperto e dai tubi tranciati sul retro. Il cielo
stellato piangeva fuoco, detriti spaziali piovevano attraversando
l’ atmosfera terrestre, incendiandosi come meteoriti scagliati dai
quattro Dei collerici. I suoi occhi, le cui iridi erano rosse come il
fuoco che osservavano, si posarono su una città sul mare, a valle da dove si trovava. Il mare. Non lo aveva mai visto. Una lunga ombra, proiettata dalla luna, copriva interamente la colline
sabbiose fino alla città. Girandosi per trovarne la fonte, la vide.
Shuruppak, l’enorme astronave lunga cinquecento metri che lui,
il principe del suo regno, vedeva posta tra le due città spaziali in
orbita intorno alla terra, Uruk e Aratta. Ma la piagae la guerra
avevano distrutto i due regni, quelli che per loro erano una casa,
un mondo. Adesso ricacciato dai cieli si trovava lì, a strisciare
sulla dura terra. Le ferite oscene che si erano aperte sulla sua
carne rilasciavano sangue in gran quantità. Il Principe si alzò
in piedi mostrando la sua muscolosa e nuda figura barbarica.
Mai sulla terra un simile fisico possente e proporzionato aveva
camminato, dandogli l’ aspetto di un antico dio. Il viso duro era
sormontato da una chioma di corti capelli neri, più simili a pelo
di animale. Aprendo la bocca mise in mostra dei canini leggermente più pronunciati del normale. Urlò, di un urlo primordiale,
mentre osservava quello che rimaneva del suo mondo piantato
a testa in giù, come una torre, al centro di un enorme cratere,
che aveva generato il suo impatto con una antica città coperta
da un accumulo di materiale metallico antico, a metà strada tra
una necropoli e una discarica. Le ferite sulla carne iniziarono
a richiudersi mentre le nano macchine presenti nel suo sangue
facevano il loro lavoro di riparazione dei tessuti.
La sua salvezza e la sua maledizione. Si inginocchiò piantando i
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