Se Rachel era a suo agio in quell’inferno, lui sentiva incombente
sulla propria testa la spada di Damocle che gravava su quella di
lei, più di quanto fosse necessario. Ne era cosciente al punto da
domandarsi spesso se fosse maggiore la pena per lei, che avrebbe concesso la sua bellezza troppo presto a un Paradiso digitale,
o per se stesso, che sarebbe rimasto solo e incapace di farsene
una ragione. Non riusciva neanche a maledirsi per quella scelta: se n’era innamorato ancora prima di farle il test e comunque
pentirsene avrebbe significato tradire entrambi. Non gli restava
altro che aspettare e nel frattempo vivere, se poteva quella chiamarsi vita.
Intanto cercava in lei ogni possibile segno di decadenza che facesse presagire l’inizio della fine. Questo logorava la sua anima
più di quanto il duro lavoro al campo gli logorasse il corpo. Non
riusciva a rendersi libero da questa catena psicologica. Rachel in
questo era più forte, al punto da porgli un veto sull’argomento.
- Capisci - gli disse un giorno, esasperata dalle sue paranoie - che
io non posso vivere in funzione della mia morte? - Ma sono io che non riesco a vivere in questa attesa. - Ma guardati intorno! - lo interruppe con una rabbia che traspariva in rosso sulle guance altrimenti pallide - Guarda dove
siamo finiti. Credi forse che sia più alta la probabilità di un mio
decadimento entro le prossime ore o che una bomba ci spazzi
via prima ancora che tu possa calcolare la probabilità di un altro
giorno insieme? - Io non calcolo probabilità. - Era una metafora! - Questa invece è la vita vera e non c’è spazio per i concetti astrat55