Nessuno fiata. Il magus muove la mano aperta verso il cielo, tentacoli di fumo si arrampicano come edera dal fondo della pozza, avvinghiandosi alle gambe, alle braccia e al collo di Baato.
Mentre l’uomo agonizza soffocando, il vecchio si gira verso i
pochi abitanti dell’oasi che avevano avuto abbastanza fegato da
assistere alla scena. Li guarda intensamente, poi basta un cenno
del capo a farli rientrare in casa. Smonta da cavallo, accettando
un otre d’acqua che Katrik nel frattempo ha riempito. Insolito
vederlo a piedi. I suoi servi sono talmente abituati al fatto che
cavalchi quell’animale, che non ci badano più, nemmeno quando vecchio e animale passeggiano nelle sale e lungo i tentacolari
corridoi della fortezza. L’uron continua ad avvolgere Neranube,
che va ad abbeverarsi alla riva della laguna. Osservare il padrone
seduto a gambe conserte, in terra, al pari di qualsiasi suo sottoposto, è per Jos una esperienza del tutto nuova. Sta meditando, il
signore di Makmadh, e in quell’occasione è sconsigliabile anche
solo respirare. Baato ha avuto una morte rapida, anche se atroce.
Ma il ragazzo ricorda ancora le grida inumane dei torturati nelle celle sotterranee. Trascinati in quel luogo da incubo solo per
una distrazione, un borbottio o un oggetto caduto proprio nello
sfortunato momento in cui il magus era assorto nei suoi pensieri
di tenebra. L’anziano si tormenta la folta barba, fissando la linea
dell’orizzonte.
- C’è qualcosa che non quadra. Lo sciamano ha parlato di ciò
che ho fatto alla sua gente. Ma io non ho mai incontrato questi selvaggi. Ora che ci penso, ha usato il plurale ... che un altro
sia passato per queste terre? Lo ritengo improbabile, avvertirei
i residui del suo potere. Rimani per molto tempo sulle cose, tu,
dopo il nostro passaggio ...
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