fanno capolino dalle finestre. A Jos non piace niente di ciò che i
suoi sensi percepiscono.
Uno storpio con gli occhi pieni di terrore si tiene a ridosso di un
muro, mormorando di continuo quel termine: muhjan, mago.
Giunti allo spiazzo dove si sono radunati i selvaggi, gli uomini
di scorta scendono agilmente dalle cavalcature, desiderosi solo
di un pasto caldo e di un bagno nelle acque dell’oasi. Quando
si girano, lo stregone non ha più l’espressione gentile di prima
e nel palmo della sua mano lentamente prende vita una sfera di
fuoco, che crepita e cresce a dismisura.
- Demoni Muhjan! pagherete per sangue di tribù !
Pochi, rapidi movimenti della mano e l’uron del padrone muta
in un enorme artiglio nero che va a soffocare la magia nemica, la
spegne come una candela. Poi, il fumo partorisce tre bestie. Hanno una forma indescrivibile, in continua mutazione: serpenti,
grifoni, animali cornuti. La sola cosa cer ta è che hanno zanne e
artigli affilati, che ora scavano nella carne dei tre selvaggi riducendola a brandelli. Gli altri mahgreb sono immobili, atterriti,
non certo per le balestre che la scorta del magus impugna a difesa del padrone. Una donna, forse la moglie di un uomo assassinato, esce in lacrime da una delle baracche, correndo verso il
carnefice di suo marito. Prende a tempestarlo di pugni, urlando
chissà quali imprecazioni, ma l’aura è scudo anche contro dardi
e frecce. La donna ritrae due mani ustionate, accasciandosi al
suolo in un sordo lamento.
- Che non si dica che sono privo di cuore. Risparmiate questa
gente, non torcete loro un capello. Katrik, Boylem, andate ad
abbeverare il mulo e i cavalli. Tu, Jonkus, prendi i tuoi fratelli
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