else, la carne che si irrigidiva nel metallo. Dal mondo della passione peccaminosa, della lussuria più impudica venne la voce
della donna: - Uccidetevi per me! - e fece il gesto compassionevole del sacerdote che accoglie i suoi fedeli timorosi.
Crebbe nelle loro vene un furioso odio per i compagni, rifornito
dal desiderio implacabile di essere schiavi ubbidienti di quella
divinità. A due a due le lame si scontrarono, le scintille segnarono l’aria opprimente e le urla di battaglia si mescolarono al
sordo schianto del ferro che cedeva, del tormento gridato di chi
moriva, del sussurro sanguinoso della carne lacerata. E, dilaniato l’avversario, ognuno rinnovò il duello. E ancora, ancora …
Gli ultimi due guerrieri, ansimando, sguazzando nel sangue dei
caduti, retti dall’energia che dà il livore, rinnovarono il combattimento.
Entrambi avevano ucciso per anni campioni della guerra, avevano lottato nelle steppe aride dell’Asia contro barbari selvaggi,
avevano ricoperto di cadaveri le spiagge nere dei regni del Nord,
gioito dell’attacco a rocche assediate, massacrato le schiere prezzolate dei Principati mercantili. Si erano divisi il pane secco e
l’acqua putrida, si erano fasciati le ferite dei pugnali e i fori delle
frecce. Si erano protetti reciprocamente nel tumulto di mille battaglie. Avevano cantato insieme, sotto le tende, alla vigilia degli
scontri e pregato in coro gli dei oscuri della morte, perché fossero compassionevoli con chi avrebbe varcato la soglia buia del
loro regno.
Così, uno morì, il fianco squarciato da una sciabola che tante
volte l’aveva protetto. L’ultimo soldato si inginocchiò, si sfilò l’elmo ammaccato e sciolse l’armatura spaccata. Si appoggiò su un
braccio, sputò sangue e disse: - Ho vinto, per te! Quella visione lancinante parlò, con il tono dolente di chi riceveva un torto oltraggioso:
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