La strega
di P.A.M. Diraque
I calzari affondavano nel fango del sentiero, la pioggia scorreva
sugli elmi e sulle armature, si infiltrava nelle giunzioni, sotto la
maglia ferrata, sui muscoli allenati dal combattimento. I mantelli erano zuppi e pesanti, l’aria oscura, la gola tra le montagne
sinistra. Il vento si calmò e il comandante del drappello alzò gli
occhi affaticati verso le cime aspre delle rocce spezzate, cercando nella caligine la fine del sentiero. L’apertura della caverna era
imponente: una cattedrale nera che inghiottiva lo spazio, minacciava il monte, rabbrividiva gli animi. I soldati controllarono le
armi, si aggiustarono le corazze, spinsero indietro i mantelli e
s’ immersero nell’antro, le spade che puntavano verso minacce
misteriose e invisibili.
E i guerrieri allibirono. Una luna invisibile disperdeva la sua luce
infame, affinché si capisse che l’interno era senza fine. Lo sguardo si smarriva, come nelle notti senza astri. L’ Immensità era stata chiusa nella montagna. Le suole calpestarono le ossa umane
e fratturarono i teschi che lastricavano il pavimento sconfinato.
La paura si manifestò negli sguardi sbigottiti, nei respiri affannosi, nei sussulti improvvisi. Soffocarono ogni rumore, cercando il nemico con l’udito. Volsero le teste intorno, stringendo gli
occhi dietro le celate.
Videro la strega che scendeva lo scalone