con la sala macchine per ordinare la ripresa. Ma il Capo Pyotr era morto per un’aneurisma durante le fasi più concitate
della discesa e il sostituto stava cercando in tutti i modi di
far ripartire le macchine principali, senza successo. Lollordeth ordinò allora di attivare l’ultimo sistema di riserva ancora tenuto in disparte, il sistema di erogazione dell’ossigeno. Due motori su cinque si riallinearono con una potenza di
appena il 29% ciascuno, sufficiente però per riprendere un
esiguo controllo. Purtroppo non tutti nell’equipaggio avevano un sistema respiratorio alternato, qualcuno svenne o addirittura soffocò, incapace di capire cosa fosse successo.
Ellerbloum in persona stava pilotando l’AURIGA, mettendo in atto tutti i propri sforzi per cercare di mantenersi in
quota. Qualche telecamera funzionava ancora e stavolta le
immagini della superficie arrivavano più nitide che mai. Ma
nessuno ora ci badava. Ci si accorse che molti erano morti
durante l’integrazione, perché il mancato flusso di energia
aveva impedito il funzionamento della strumentazione, tagliando anche l’unica fonte di supporto vitale che un organismo integrato doveva avere. Dappertutto si vedevano corpi
orribilmente mutilati da cavi e tubi parietali, trasformatisi
in trappole mortali.
Ma il peggio era ormai superato. Pur con considerevoli danni
strutturali, l’AURIGA aveva superato la zona di schermatura
e non stava più precipitando. I detriti staccatisi dalla nave
erano precipitati sul Pianeta come frecce infuocate, alcune
più grosse di altre, causando delle esplosioni una volta toccato il suolo. Che appariva incredibilmente inospitale.
La superficie era un insieme di distese rocciose, con solchi
profondi molti metri e lunghi kilometri. Un panorama simi-
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