Cercò di alzarsi, il braccio gli faceva molto male, ma
riuscì a muoverlo. Forse era stato preso di striscio,
oppure semplicemente il proiettile aveva perforato la
carne senza spezzare ossa. Si tastò il petto ed estrasse
il portasigarette che, invece di condannare la sua salute
come spesso gli aveva detto il suo medico di fiducia, gli
aveva salvato la vita. Sulla divisa si era allargata anche
una macchia d’inchiostro per la rottura della stilografica
e, forse complice la notte, era stata scambiata per sangue
dai suoi assassini.
Aveva avuto un’incredibile fortuna, ma adesso come
avrebbe fatto a lasciare Auschwitz senza essere visto?
Prima che potesse anche solo pensare un piano, udì
rumori di passi.
Tornò a fare il morto.
- Aiutami con quest’ultimo, Mackiewicz - gridò una
voce maschile con forte accento russo.
Geert aprì nuovamente le palpebre per rendersi conto
della situazione. Un corpo gli urtò il braccio ferito e
dovette stringere i denti per non gridare dal dolore.
Osservando i cadaveri che lo circondavano, comprese
che si trattava di deportati, denudati e forse gasati
poco prima. Membri del Sonderkommando li stavano
trasportando e li accatastavano vicino a lui.
Per fortuna, che ancora una volta gli sorrideva, il sole
stava sorgendo alle sue spalle, quindi, con la luce negli
occhi, gli uomini al lavoro avrebbero avuto difficoltà ad
accorgersi che non era morto.
- Che cosa fai, Mackiewicz, ti muovi o no? - tuonò ancora
la voce di prima.
Geert riconobbe il nome appena pronunciato nella
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