Scriveva sempre prima di addormentarsi, lo rilassava
molto e, quella notte, sentiva stranamente il peso
del compito assegnatogli, al punto da percepire
un’inspiegabile agitazione rimestargli lo stomaco. Solo
in quel momento si rese conto di non aver mangiato
nulla in tutta la giornata. Prese il portasigarette dalla
tasca interna della giacca e i fiammiferi e si accese una
sigaretta. Dopo poche boccate di fumo, trasalì udendo
uno sparo provenire dall’esterno. Si rimise in fretta gli
stivali, si allacciò in vita il cinturone con la Lüger P08 e
si avviò verso l’uscita a passo svelto.
Una volta fuori si ritrovò immerso nelle tenebre. Dopo
pochi secondi un fascio di luce gli passò accanto, per
poi proseguire oltre in quello che sembrava essere un
normale controllo di routine. Era forse l’unico ad aver
sentito quello sparo? Non sembrava essere scattato alcun
allarme e non si vedevano soldati, se non vaghe sagome
nere sulle torrette di guardia all’ingresso.
Fece qualche passo verso la baracca accanto alla sua,
fermandosi giusto sull’angolo. Le luci erano spente.
Tirò ancora dalla sigaretta, appoggiandosi con la
schiena alla parete e assaporò per un breve istante la
quiete della notte. Stava per tornarsene dentro, quando
la porta della baracca si aprì e ne uscì un sergente delle
SS, con la divisa sbottonata e senza berretto. Era un uomo
alto e corpulento e riconobbe in lui la figura che aveva
guidato i soldati all’arrivo del treno dei deportati.
Il sergente si guardò intorno con circospezione e
sembrò non notare Geert. Fece un cenno verso l’interno,
da dove uscì una ragazza con abito da prigioniera. Lei gli
passò accanto, mentre si allacciava i bottoni all’altezza
del seno; il sergente l’accompagnò fuori con una vistosa
manata sulle natiche.
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