e consumo.
Geert Schäfer non amava le sorprese e preferiva
osservare l’operato di chi doveva esaminare quando
meno se lo aspettavano, perché da sempre era convinto
che la verità sul carattere degli uomini risiedesse
nell’improvvisazione delle loro azioni, non nel calcolo
programmato delle stesse.
Nel giro di pochi minuti, un reparto di soldati armati
di tutto punto prese possesso della zona e si posizionò
sulla vasta banchina bianca, formando un sottile fronte
in linea davanti ai binari ferroviari. Uno sbuffo ripetuto
di un treno latrò in lontananza.
Le SS avevano riempito la banchina in pochi istanti,
come se fossero fuoriusciti dalle luci alle loro spalle
al pari di grigi fantasmi, preceduti solo dal tramestio
del loro incedere marziale; a comandarli un sergente
alto e corpulento. Prima che Geert potesse obiettare,
il frastuono metallico del treno sulle rotaie divenne
incombente e così comprese che non aveva altra scelta
che assistere e cominciare a scrivere.
Mentre il treno prendeva forma nella notte, si chinò ad
aprire la valigetta, ne sguainò un taccuino con la stessa
fierezza con cui si sfodera una spada e, sotto lo sguardo
attento dei due ufficiali, si armò anche della stilografica.
Iniziò a scrivere mentre il treno rallentava e continuò a
farlo, fino a quando il vapore invase la banchina e i pistoni
smisero di ruotare arrestando la bestia metallica.
Scrisse tutti i dettagli, non solo sul treno e i deportati; si
dilungò parecchio sulla selezione operata dal personale
di servizio e la gestione degli arrivi e la loro allocazione
nei vari blocchi.
Scrisse come era suo solito fare, senza tralasciare nulla,
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