- No! -
Prima che potessi rendermene conto, la sua mano mi colpì
in fronte.
Un lampo accecante.
Il buio.
La prima volta che misi piede nella biblioteca, ebbi l’impressione di essere entrato nella contorta mente di Dio.
Gli scaffali si ergevano come titani dormienti e, mi sento in dovere di aggiungerlo, infiniti, poiché all’infinito si estendevano,
scomparendo oltre l’angolo composto da un’altra infinita fila
di scaffali.
Non avevo avuto modo di misurare quale fosse la grandezza dell’edificio dall’esterno, ma trovandosi nel cuore di New
York, supposi non dovesse essere molto grande e mi convinsi che quell’immensa ampiezza altro non fosse che un abile
gioco di specchi. Ogni volta che l’impressione dell’immensità
della biblioteca mi provocava la vertigine, chiudevo gli occhi
e ringraziavo il cielo per il fatto che io, in quanto semplice custode, non mi sarei mai dovuto inoltrare in quella fitta giungla di carta e legno di faggio.
Non potevo vedere all’esterno, ma sapevo che era notte. La
sala antistante la biblioteca era buia e vuota; la luce fredda di
una lampada era l’unica compagna, sul banco dietro il quale
mi trovavo seduto da chissà quante ore. Avevo perso il conto.
Forse ne erano passate troppo poche. Posai le mani su quel
banco di legno robusto e laccato, pieno di segni e macchie d’inchiostro; mi chiesi da quanti anni, o decenni, un bibliotecario
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