di decine di cunicoli; stava per attraversare un luogo sacro e
quella sarebbe stata decisamente un’ esperienza eccitante.
Scelse uno di quegli stretti corridoi e avanzò con passo
cauto, facendosi luce con il cellulare. L’aria era densa, sapeva
di marcio. Di tanto in tanto il buio fitto veniva interrotto
da sottili raggi di luce che bucavano la roccia. La ragazza
avanzava testardamente, nonostante l’ agitazione, ad ogni
passo le pareti diventavano sempre più vicine, il soffitto più
basso e l’aria sempre più pesante, cosa stesse cercando non
fu chiaro neppure a lei.
Una voce debole rimbalzò tra gli stretti cunicoli.
- Papà, dove stiamo andando? Rachele sobbalzò: da dove proveniva quella voce?
Pensò a qualche visitatore curioso quanto lei, ma non vide
nessuno, si convinse allora che fu solo frutto della sua paura:
percezioni uditive distorte, pensò, la poltiglia ingurgitata con
Lucita doveva essere piuttosto potente.
Come un gatto, camminava sul perimetro della strettoia,
attenta a non finire nelle pozzanghere melmose. Attraverso
il rumore cadenzato delle gocce che lente precipitavano dalle
stalattiti, riuscì finalmente a misurare il tempo che sembrava
essersi fermato non appena aveva messo piede in questo
strano parco giochi, quando ecco riaffiorare un’ altra voce
dall’oltretomba, questa volta era il pianto di un uomo. Le si
fermò il cuore, si raggelò il sangue, cercò in quel groviglio di
gallerie
qualcuno a cui potesse appartenere il pianto, ma non trovò
alcuna presenza umana oltre se stessa. Respirò profondamente
regolarizzando il battito cardiaco, scongiurò in tutti i modi
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