Edward Creanky abbassò il ricevitore. Ne aveva uno molto
antico, pagato una fortuna, era di almeno seimila anni fa,
se non di più. Non capiva perché ma quell’apparecchio
lo elettrizzava, il suo cuore girava veloce e i suoi occhi si
illuminavano quand’era vicino a quel oggetto preistorico.
Ma, anche se tutto ciò era piacevole, nulla l’avrebbe tirato
fuori dalla sua angoscia e disperazione per la grave perdita.
Camminò verso la sua fredda compagna che l’aveva cullato,
si sedette e con la punta dell’indice sfiorò ogni sua parte,
dai pistoni che tengono in movimento i muscoli per non
farli atrofizzare al piccolo, minuscolo bianco tasto d’avvio.
Esitando per un attimo, lo pigiò pieno di speranza; speranza
che fu tradita immediatamente.
Sei e mezzo. Quattro e sedici altre due ore e Quattordici.
Si accorse di essere tremendamente assetato, di avere
le labbra brucianti e dolenti, sigillate. Andò ad ingoiare
dell’acqua gelida.
Ma cos’era? Nettare di un dio della guerra che gli permetteva
di brindare con lui dopo un lungo sterminio?
Si scoprì a mangiare l’acqua, per quanto assurdo possa
sembrare. Non la ricordava così piena di strabilianti sapori.
Iniziò a lanciarla per aria come un infante che la scopre per
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