L’involucro forse perché di anime Speranza ne vedeva ben
poche in una civiltà raggomitolata su sé stessa in un’Italia
devastata che ancora faticava a riprendersi dalla Quarta
Guerra Mondiale, nonostante facesse finta che andasse tutto
bene e i ragazzi continuavano la loro movida nei piani alti di
quei palazzi altissimi che non tenevano conto dei risultati
della mutazione che i più sfortunati di loro ancora subivano
nel sub-urbano, dopo due bombe atomiche che avevano
spazzato via buona parte della geografia mondiale.
Ma oggi non ha voglia di pensare a tutte le brutture del
mondo, oggi vuole solo sentirsi giovane e sciocca all’età di
cinquantasette anni, vuole tornare a sognare e si ricorda
il momento in cui, andata al Centro, si era seduta di fronte
a Dominique e si era messa in silenzio, come sempre. Ma
Dominique non aveva iniziato a parlare del suo stato di robot,
del suo desiderio di essere umano, di voler comporre poesie
e di non sentirsi un prodotto fallato, ma una ricchezza.
No, il robot per la prima volta le aveva accarezzato una
guancia e poi l’aveva baciata sulle labbra e aveva detto:
- Tu sei la mia Speranza di uscire di qui un giorno ed essere
un cantante, un poeta, un essere libero. Verrò ovunque tu
voglia. -
Speranza era rimasta allibita e, nonostante si sentisse più
una signora vicinissima ai sessant’anni che una ragazzina,
aveva infranto tutte le regole dei benpensanti ed aveva
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