Così Jonathan fece accomodare Adam nello studio di Padre Abe.
Alla vista del bambino, Abe avvertì degli improvvisi giramenti di
testa. Quando incontrò lo sguardo del piccolo Adam, la luce iniziò ad affievolirsi, fino a smorzarsi del tutto; e così Abe si ritrovò
nel buio totale con quel bambino, sul cui volto si era disegnato
un sorriso ghignante; e gli occhi… oh, gli occhi non erano umani,
ma erano gli stessi occhi che…
- Padre, vi sentite… vi sentite bene? Padre Abe si sedette nuovamente sulla poltrona al di là della scrivania e si massaggiò le tempie.
- Niente di grave. Ho solo avuto un abbassamento di pressione.
- Riportò lo sguardo sul piccolo Adam e non ci vide altro che un
normalissimo bambino di dieci anni. Si sforzò di sorridere. - Ciao
giovanotto, mi parleresti della tua sorellina? Adam si volse verso il padre, come se volesse chiedergli il permesso di dire tutto. Ottenuto il consenso iniziò a dire quello che
sapeva. Lo stesso Jonathan si sorprese sentendogli dire perfino
la data di quel giorno nefasto e descrivere i sentimenti di Elke
come se lui stesso l’avesse vista.
Ad un certo punto, mentre raccontava il momento in cui Elke era
scivolata nel ghiaccio, Adam chiuse improvvisamente gli occhi,
strinse i pugni, si alzò e divaricò le braccia e le gambe; Jonathan
e Abe videro tutto buio, proprio come quando Abe aveva visto
Adam per la prima volta. Intanto Adam diceva:
- Papà, ti prego… aiutami… ho tanto freddo… ho tanto freddo… lo diceva con la stessa voce di Elke, con la stessa identica espressione del viso, come se lo spirito di lei fosse entrato nel corpo di
lui.
Jonathan era impietrito, mentre Abe ripensando alle parole che
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