fosse un sogno. Un’altra vita. Un altro uomo.
Eppure erano un po’ di anni che faceva degli strani sogni. Definirli
strani sarebbe perfino riduttivo. Per non chiamarli incubi, Padre
Abe minimizzava e si focalizzava sul fatto che non fossero sogni
ordinari.
Lui era in un’isola, la leggendaria isola maledetta di U’athkal, dove
si diceva che le forze del Male e gli adepti di Chernabog si riunissero per riti blasfemi e per divorare carni umane razziate nella
regione (in effetti erano frequenti i casi di scomparse improvvise,
specialmente di bambini). Davanti a lui si parava l’infernale Chernabog, Signore degli Inferi. Chernabog alzava, come un trofeo, il
primo della progenie infernale, un figlio nato dall’immondo accoppiamento con una donna che anni prima era la sua Signora e
che invano Abe aveva tentato di proteggere.
Ne aveva parlato con Dannusk, diventato il capo del suo ordine
quando i primi incubi iniziarono a tormentarlo. Dannusk gli aveva
consigliato di tenere gli occhi sempre ben aperti e di fare attenzione a tutto ciò che vedeva e lo circondava. I segni del demonio,
aveva detto, si sarebbero rivelati ma spettava a lui interpretarli
come tali.
Così, quando una mattina si ritrovò nel suo studio, innanzi a Jonathan Boerefijn, un modesto pescatore del villaggio di Stór Björg,
Abe aveva percepito fin da subito, come se possedesse un sesto
senso, che quella era la volta buona in cui avrebbe scoperto il significato di quelle orribili visioni.
Jonathan gli stava raccontando di suo figlio Adam: da diversi giorni, sosteneva di vedere e di parlare con Elke, la figlioletta morta
anni prima in un tragico incidente. La cosa aveva iniziato a preoccuparlo, ma ciò che l’aveva sorpreso erano i dettagli dei racconti