Rrivista Cultura Oltre - 11° numero- Novembre 2019 Rrivista Cultura Oltre - 11° numero- Novembre 2019 | Page 9
“N ELL ’ INQUIETUDINE DI P ESSOA ”
M ARIA R OSARIA T ENI
Il Libro dell’inquietudine di Fernando Pessoa mi accompagna da tempo nel mio quoti-
diano enigmatico incedere in un’esistenza avulsa da ogni razionale sistematicità. Le
tante riflessioni del più famoso eternonimo dell’autore, Bernardo Soares, nel loro etero-
geneo fluire in una sorta di “zibaldone” moderno, bene corrispondono alla sete di inter-
rogativi che si dibattono e si scontrano nell’animo tormentato di un uomo del nostro
tempo. Ironico, irrequieto, sensibile e profondo, Soares alias Pessoa medita, sonda,
esterna i suoi travagli interiori, esplorando anche le sue memorie più recondite sullo
sfondo di un tempo che scorre impietoso e da cui si difende scrivendo, parlando del
proprio dolore e del dolore universale, come rivela in una riflessione: “Scrivo, triste,
nella mia stanza quieta, solo come sempre sono stato, solo come sempre sarò. E penso
se la mia voce, apparentemente così poca cosa, non incarni la sostanza di migliaia di
voci, la fame di dirsi di migliaia di vite, la pazienza di milioni di anime sottomesse come
la mia al destino quotidiano, al sogno inutile, alla speranza senza fondamento”. In que-
ste frasi io ripenso a Leopardi, al suo intimo tormento che sfocia nella finale accettazione
di un destino universale che accomuna gli uomini, nell’evocazione di una solidale e
costruttiva “social catena”, all’ombra di un pianto sconsolato e nostalgico che, invero,
in Pessoa si estrinseca nelle riflessioni inquiete di Soares. Ma intravedo senz’altro, sulla
scia dello studio condotto da Teresa Rita Lopes, autrice del testo “Fernando Pessoa et
le drame symboliste: heritage et creation”, un chiaro collegamento con il simbolismo e
il crepuscolarismo, ravvisabile nella struttura dei suoi scritti concepita su atmosfere um-
bratili e notturne, sull’evocazione di profumi e di paesaggi, bagliori di sensazioni e stati
d’animo. Tra l’altro si deve considerare la profondità intellettuale di Pessoa, studioso di
correnti letterarie e filosofiche, che si ritrovano poi nei suoi scritti riconducibili al pen-
siero di Nietzsche, Kierkegaard e dello stesso Bergson, nel dialogo della propria anima
con un abisso insondabile che non si configura se non nell’incognita esistenziale. Mi ha
intimamente impressionato come questo libro sia entrato nel mio animo e si sia magica-
mente adattato alle pieghe intime di “un pensiero che pensa”, come io definisco il mio
pensare e mi ha fatto comprendere come sia fondamentale la lettura e quanto peso oc-
cupi nella nostra vita. Sento di poter fare mia la riflessione seguente che conclude questo
mio piccolo intervento e che, insieme ad altre, di cui vorrei parlare in seguito, mi fa
amare Il libro dell’inquietudine in un modo particolare e personale.
“Leggo e mi sento liberato. Acquisisco oggettività. Non sono più io e mi dissipo. E ciò
che leggo, invece di essere un mio abito che vedo appena e a volte mi pesa, è la grande
chiarezza del mondo esterno, del tutto straordinaria, il sole che vede tutti, la luna che
martella di ombre il suolo quieto, gli ampi spazi che finiscono in mare, la solidità nera
degli alberi punteggiati di verde sulla chioma, la pace solida delle fontane delle ville di
campagna, i sentieri ostruiti dalle vigne, lungo i brevi declivi dei pendii. Leggo come
chi abdica. E, come la corona o il mantello reali non sono mai così grandi come quando
il Re, che se ne va, li abbandona al suolo, depongo sui mosaici delle anticamere tutti i
miei giorni trionfali del tedio e del sogno, e salgo la scalinata con la sola nobiltà di
vedere. Leggo come chi passa. Ed è nei classici, nei calmi, in quelli che, quando sof-
frono, non lo dicono, che mi sento transeunte sacro, unto pellegrino contemplatore
senza motivo del mondo senza proposito, Principe del Grande Esilio, che andandosene
ha dato, all’ultimo mendicante, l’estrema elemosina della propria desolazione.”
Maria Rosaria Teni
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