Rivista Cultura Oltre 7^ e 8^ numero - LUGLIO - AGOSTO 2018 rivista-cultura-oltre LUGLIO AGOSTO 2018 | Page 19

interpretazione, (secondo Heidegger), come rivolgersi a qualcosa come qualcosa “interpreta in un essere – già- con”, ossia con ciò su cui verterà il discorso. Ciò su cui verte il discorso per una primaria precomprensione è sempre già scoperto in qualche senso. Anche qui esiste la potenza della “Cura”, come nell’anticipazione (Vorgriff) secondo Heidegger. L’anticipazione è appunto questo tracciato che appartiene alla struttura dell’interpretazione. Cosi tra interpretazione, comprensione ed esserci con la “Cura” secondo Heidegger, appare qui stabilirsi una stretta connessione che spesso appare perfino fusione. La “Cura” è la sintesi dell’“essere- con – altro, essere – con mondo”. Nella filosofia greca antica la “Cura” si comprende come legame di finalità: mi occupo di me per potermi occupare degli altri.Per esempio possiamo vedere in Platone come Alcibiade deve occuparsi di sé per potersi occupare degli altri. Il sé di cui ora ci si preoccupa non è un elemento di transizione verso qualcos’altro (città o altri), ma lo scopo unico è la cura di sé. E come scrive Luigina Mortari, (vedi il libro “Conoscere se stessi per aver cura di sé”) “Quando ci si trova a pensare il proprio essere si scopre che «è un essere inconsistenti», nel senso che la condizione ontologica è quella per la quale ad ogni istante ci si trova esposti al nulla1. Ma nello stesso tempo in cui ci si scopre mancanti d’essere, ci si trova anche chiamati alla responsabilità di dare forma al proprio essere possibile così da vivere una vita buona. Si nasce dunque gravati da un compito che altri viventi non hanno: quello di dare forma al proprio tempo, ossia di disegnare di senso i sentieri dell’esistere. Si tratta di imparare ad aver cura dell’esistenza; detto in altre parole di imparare l’arte di esistere, quella sapienza delle cose umane di cui parla Socrate (Platone, Apologia di Socrate, 20d.)”. Leggiamo nella filosofia platonica come sostiene Francesca Caputo “La cura pedagogica come relazione d’ aiuto» “…dunque, quando si migliora qualcosa…è quello prendersene giusta cura?” (Platone Alcibiade I 128b 8-9). É Alc. I 128b5-9, scelto qui quale esergo, a confermare che ci si «prende giusta cura» (orthos epimeleisthai) di qualcosa, quando – come prescritto nell’Apologia per l’anima – «lo si renda migliore» (hotan tis ti beltio poiei): “migliore” allude a sua volta alla piena attualizzazione del-le potenzialità naturali, esattamente nell’ottica, dalla parte del curato, dell’auto trascendimento ed in quella, dalla parte del curante, dell’odierna care.– Dunque, colui che ci ordina di conoscere se stesso ci ordina di conoscere l’anima. — Così pare. — E colui che conosce qualcuna delle parti del suo corpo conosce le cose che sono sue ( ta autou ), ma non conosce se stesso ( all’ouch hautòn ) Platone, Alcibiade I,130 6-10. L’epimeleia heautou «rappresenta anche una certa forma di attenzione, di sguardo. Curarsi di se stessi implica infatti che si converta il proprio sguardo, e che lo si faccia 19