Rassegna Stampa 4-48 PSYCHOSIS di S- KANE(ARVIGO CALVANI)doc07-03-2014-2.pdf Apr. 2014 | Page 38

Dalle 4:48 alle 4:48, alla continua ricerca dell'amore perduto Emozionante e intensa l’interpretazione di Elena Arvigo nei panni di Sarah Kane, proprio così, perché quel suo ultimo "4:48 Psychosis" è il testoconfessione autobiografico dell’autrice che prima dell’estremo gesto dà vita alle ultime immagini di una mente consapevole di viaggiare verso la morte. Si tratta della più sincera e analitica confessione sul proprio stato d’animo, sul proprio malessere, sulla vana ricerca di affetto e ascolto, sul vano tentativo di farsi conoscere veramente, tutti problemi per i quali la cura più utile non è quella chimica, ma quella umana, quella cui nessuno pensa "prendersi cura" e non semplicemente "curare", e in cui mette a nudo la sua più intima vulnerabilità per dire che "questo non è un mondo in cui ho voglia di vivere". Concentratissima e determinata, Elena Arvigo si lascia trasportare da quel flusso di pensieri slegati, parole e urla disperate che compongono il testo e chiede con gli occhi, con il corpo, la postura, la voce e i silenzi, amore e attenzione. Si muove consapevole nello spazio scenico, camminando a piedi nudi su terriccio e specchi rotti, sola, abbandonata in una disperazione surreale e conscia di ogni sua emozione. Merito di questa lettura scenica sta sicuramente nel non aver rappresentato la follia, ma nell’aver sottolineato continuamente la speranza, il desiderio di aggrapparsi con tutte le forze ad una via possibile d’uscita, a qualcuno, magari ad un medico se non ad un amore... una scelta sofferta dunque, quella del suicidio, nel tentativo di incontrare l’altra da sé, quella parte che non ci fa sentire sempre colpevoli, sbagliati e inadeguati. Un testo complicato per l'enorme quantità vivida di immagini, la furiosa alternanza di codici narrativi e la contemporanea presenza di più voci della propria mente che la Kane esprime, in un continuo fluire di sogni (o incubi), accompagnatida un costante sarcasmo verso la propria morte. Una struttura a spirale, circolare, difficilmente rappresentabile pensando alla percezione