Dal testo di Sarah Kane, un monologo sulla follia e la fragilità
Una prova d’attrice davvero impegnativa per Elena Arvigo che la
supera benissimo, supportata anche da scelte registiche misurate
che l’aiutano a creare uno spettacolo equilibrato e poetico.
Nessun eccesso, nessuna esasperazione, il testo della Kane è già abbastanza
forte, ma una regia che sottolinea, con un uso attento delle luci e delle
musiche, la poeticità e la drammatica bellezza delle parole.
L’interpretazione di Elena Arvigo è delicata e forte insieme. Si rivolge
al pubblico, guarda negli occhi gli spettatori, racconta a ognuno la propria
storia. E lo fa con tenerezza, ma anche, a tratti, con spietata ironia.
La sua voce ferma, il suo corpo morbido, i suoi occhi malinconici e
umidi di pianto emozionano. Si muove fra frammenti di specchi e vetri
rotti ed è anche lei è un frammento, una parte di quella umanità che però
non la comprende, che la opprime, la rinchiude, la costringe e la relega nella
follia. Isolata da una società che si ostina a curare con i farmaci una malattia
che non è del corpo, ma è ben più profonda perché è dell’anima, si trova a
vagare in una stanza sempre più claustrofobica che, a poco a poco, sembra
diventare una gabbia.Sulla scena, tra vetri rotti e desolazione, tra
specchi e frantumi, una donna vestita di rosso, fragile, bella, folle.
Questo è solo la suggestiva cornice