Sarah Kane e Elena Arvigo: 4.48 psychosis
Magistrale interpretazione di Elena Arvigo nei panni della suicida di
Sarah Kane
Elena Arvigo è stata superba nelle vesti di questo personaggio,
seguendo alla lettera ogni indicazione registica ha portato in scena
del vero dolore e commiserazione nei confronti della “sua” donna.
Vivamente consigliato.
Alle 4.48 mi taglierò le vene e poi mi impiccherò. Questo ha in mente il
personaggio del monologo di Sarah Kane; l’ultimo che ha scritto, poi si è tolta
la vita. Alle 4.48 c’è la più alta concentrazione di suicidi secondo le statistiche,
proprio nel cuore della notte quando la solitudine si sente ancora di più.
Sarah lotta contro la depressione e non riesce a uscirne. Non riescono gli
psicofarmaci, non riesce lo psicanalista del quale si innamora e non riescono i
suoi genitori a farla guarire: il suo unico rimedio è uccidersi.
Lo spettatore vive con il personaggio i suoi ultimi minuti e quello che sente
non è una lettera o un discorso di addio, non è neanche una riflessione. È un
urlo; l’urlo della disperazione che avviene in silenzio. Il personaggio parla di
ciò che lo ha portato a questa decisione, affronta diversi personaggi ma li
vede solo nella sua immaginazione. Il tutto viene fatto con una cascata di
parole buttate lì alla rinfusa, proprio come quando corrono nella nostra testa
e Valentina Calvani ha saggiamente suggerito di esprimere questi pensieri
con pacatezza; quasi con razionalità. Proprio come una psicopatica farebbe.
Non è con il volume della voce che si percepiscono le urla ma con ciò che
circonda la situazione. Gli specchi rotti a terra, il terreno, un’attrice vestita
quasi di niente: tutto ciò fa sentire molta più disperazione di qualunque testo
scritto.
Fabio Manniti