purezza formale la complessità di questa dialettica, affrontando anche gli
attimi di parossismo senza mai sfiorare la retorica o l'eccesso, ma restando
sempre e solo un veicolo, quanto mai potente, di Sarah Kane.
I gesti della Arvigo compiono mille rapidi passaggi simbolici, dal minimo al
massimo, dal silenzio (l'attrice è bravissima nella gestione delle pause) di uno
sguardo fisso e un piede ondeggiante sul tallone, alla piena fisicità della
convulsione contro il muro: il testo riesce così ad acquisire un particolare
respiro, tanto da stillare addirittura qualche passaggio ironico.
Il talento della Arvigo si avvale di un affascinante disegno luci, che
incide e moltiplica il pathos di una scena altrettanto curata e densa
di riferimenti alla caducità: terriccio e pezzi di vetro, uno specchio a
riflettere e isolare il centro del palco, bussolotti gracchianti da cui un'orda di
sfere scivola sui piedi dell'attrice.
Coraggiose anche le scelte musicali: melodiche se non solenni (c'è
addirittura un antifrastico Gloria), da una parte sublimano e
rendono più sopportabile l'indicibilità del dolore, dall'altra danno
vita a un contrasto che cela la verità più intima del testo.
L'assenza di senso che non diventa cecità, l'obnubilamento della follia e della
disperazione che sono sempre accompagnati dal tentativo della
consapevolezza.
La Psicosi delle 4:48 di Valentina Calvani ci regala un teatro di
qualità, un'attrice da continuare a seguire, un testo vissuto e
interpretato fino in fondo.
Mentre la Arvigo, in piedi sulla sedia, si trasforma in un'ombra e si
congeda, ripensiamo a quante volte nel testo si ripeta la parola
amore: è una richiesta tragica, antica e irrisolta. Eppure, come
testimonia la Kane, rimane sempre l'unica risposta.
Michele Ortore