4:48 PSYCHOSIS
Il testamento di Sarah Kane è stato compiuto. Da non perdere
assolutamente.
4:48 Psychosis non è l’ultima lettera di un suicida.
Non è follia se, come dice Alda Merini, “la follia è la mancanza di qualcuno
d’importante”.4.48 Psychosis è mancanza,ricerca, desiderio e rifiuto; quello
che succede alla mente di u4na persona quando crollano le barriere che
dividono la realtà dall’immaginazione? L’affermazione della consapevolezza
dell’effimero di ogni intento.
Capita spesso in teatro che lo spettatore, il più delle volte inconsciamente,
agiti interiormente una disputa tra il non credere o il lasciarsi abbracciare da
quella voluminosità di parole che diventa la partitura fisica dell'attore.
Ebbene, ci pare più che opportuno sostenere che la difficoltà di questo testo,
l'ultimo di Sarah Kane, scritto poco prima che l'autrice si suicidasse, va ben
oltre la comprensione della depressione che agita il personaggio anonimo, e
supera ogni dubbio quando alle parole si sostituisce il pensiero di chi sulla
scena fa, di chi sulla scena è. Mi riferisco alla magnetica presenza di
Elena Arvigo, in questi giorni, appunto con 4.48 Psychosis al Teatro
Argot fino al 31 Ottobre.
La giovane attrice, appena reduce da un'esperienza col celebre
regista Alvis Harmenis, in “Le signorine di Wilko”, conclusasi con una
tournèe europea, ha messo il suo indiscutibile talento a disposizione
dei tragici turbamenti delle parole della Kane, in un'interpretazione
unica lungi da una facile pomposa drammaturgia attoriale.
Il suo sguardo perso e vano, contemporaneamente dedito alla ricerca della
comunicazione stretta col pubblico marca un crescendo individuale del
personaggio, proiettando nello spettatore un senso di fragilità che scorge
dalla sue posizioni, che accennano a una sorta di guscio per proteggersi dalla
verità del lercio che la circonda.
Tuttavia sempre con un equilibrio, una calma e delle pause pari a quei
momenti riscontrabili durante le prime sedute di una terapia dallo psicologo.
E tutto ciò è positivamente stupefacente, perché non più il testo, ma
il corpo di un attore riesce a comunicare un esigenza, un disgusto
per la vergogna altrui, per il rifiuto e per l'incomprensione: un
atteggiamento impensabile per una società che non concede un attimo per