“IL MATTINO PORTA LA DISFATTA”
«La lucidità si trova nel centro di convulsione, lì dove la follia viene consumata
dall’anima spaccata in due». All’interno di una buia sala da banchetto, convivono una
coscienza antica e una mente acuta: queste, la sede e le cause della fenomenologia di
una psicosi. Il pavimento è coperto di terra e vetri rotti; che fine ha fatto il magnifico
giardino della Fontana dell’acqua Paola al Gianicolo? Roma scompare. Con 4:48
Psychosis entriamo nella sofferenza di Sarah Kane.
Alle ore 4:48 giungerà la disperazione ad attanagliare la protagonista. È l’ora del
suicidio, del silenzio, del sonno. «Alle 4 e 48 è l’ora felice in cui la lucidità mi fa
visita»; la scena non è un’abitazione, né un manicomio: è la recondita dimensione della
mente in cui la follia si esplicita. Sarah Kane ha scritto questo lungo monologo nel
1999, prima di uccidersi. L’opera non contiene indicazioni di rappresentazione; è
piuttosto il resoconto di un disordine mentale: libera interpretazione. C’è solo una
donna che affoga nell’assenza, al lugubre ritmo della follia. Tutto le è stato rivelato una
notte, in un incubo: la solitudine, l’amore dissanguato, la rabbia, il desiderio devastante
per una persona che non c’è, il fantasma maligno della morale comune.
Per questo catalogo della depressione, la regista Valentina Calvani ha saputo
scegliere una colonna sonora incalzante, e un disegno luci quanto mai appropriato. In
scena si scorgono delle carte da gioco, un paio di sedie di plastica, un contenitore
girevole per palline da ping pong che sembra riassumere la frenesia di un’angoscia
congenita e incurabile, una scala a pioli, funesto presagio della disfatta.
Talento indiscusso della messinscena è l’attrice che dà corpo, voce e anima ad un
personaggio senza nome: Elena Arvigo. Guarda il suo pubblico negli occhi, provoca e
rapisce: ha uno sguardo affranto, tenero, supplicante, consapevole. Il suo corpo è
presente nel disagio e nella destrutturazione. Con un realismo sconvolgente e tragico, si
insinua nella psicosi con autenticità. Come nei drammi di Cechov, non accade niente in
scena, eppure questa giovane attrice riesce a compiere tutto: «ogni atto è un simbolo
il cui peso mi schiaccia». Elena Arvigo ha indubbiamente giustificato ogni unità
d’azione mentale, delineando perfettamente un crollo nervoso imminente.
4:48 Psychosis è un spettacolo potente, che ammutolisce. È un testo che urla e
denuda una malattia che cresce nelle pieghe della mente. È il grido di un’autrice che
raramente ha ottenuto approvazione in vita, e che lentamente viene oggi conosciuta e
amata grazie a ciò che l’ha distrutta. (Cecilia
Carponi)