matta. L'allestimento che abbiamo avuto la fortuna di vedere al teatro dei Conciatori,
rappresentato per la prima volta nell'ottobre del 2010 al teatro Argot di Roma, per la
regia di Valentina Calvani si impone prima di tutto per la magnifica interpretazione di
Elena Arvigo che si fa strada tra i meandri del testo che attraversa con la stes sa
semplicità con cui cammina a piedi scalzi su dei pezzi di specchio rotti che si rompono
ulteriormente al suo passaggio. La scena allestita in semplicità vede il palco ricoperto
di uno strato di terriccio il cui odore inconfondibile accoglie il pubblico prima ancora che
prenda posto in sala ospitando e semi nascondendo gli infidi pezzi di specchio alcuni
dei quali l'attrice, a inizio spettacolo sposta come fossero fiche mentre manovra delle
carte da gioco formato gigante. Tra un uso accorto delle musiche che non sostengono
mai l'emotività del testo ma vanno anzi di contrappasso e l'impiego dislocato delle luci
(comprese quelle di alcuni lampadari posti sul terriccio) Arvigo interpreta il testo senza il
sostegno di artificio teatrale alcuno, con la sola forza della sua presenza scenica e la
sua capacità di restituire con il tono della voce ora l'io narrante ora i vai personaggi che
interloquiscono con lei e dei quali il monologo riporta brani di dialogo con una glossa di
sottile e sotterranea ironia che nasce dalla consapevolezza dell'ineluttabilità della morte
che tanto vale anticipare... Arvigo restituisce a Sarah Kane e alla protagonista della
pièce la dignità di persona tutt'altro che matta in balia delle proprie farneticazioni, ma
persona capace di intendere e volere e artefice del proprio destino anche con la scelta
per taluni inconcepibile del suicidio che non è gesto avventato ma ferma e salda
affermazione di sé (questo non è un mondo in cui ho voglia di vivere). La sfacciata
consapevolezza del dolore di chi non ha amore e se lo inventa di chi in amore viene
rifiutato di chi viene giudicato per il proprio aspetto il proprio comportamento il proprio
orientamento sessuale in un confronto tra malessere della carne e apparenze
borghesi, dove il disagio è lo scollamento tra copro e anima tra autopercezione del
proprio io e quello alienato di un corpo che la norma vuole altrove o in altro
modo. Algida o tenera, indifesa o determinata, Elena Arvigo ci restituisce l'io narrante di
Psicosi senza nessuna di quelle sovrastrutture che il personaggio nel testo rifugge e
critica (e che tante interpreti non hanno saputo invece resistere alla tentazione di
impiegare) incarnando con un atto di una poesia indescrivibile di amore e di rispetto per
il testo la donna che lo abita. La sincerità e l'onestà intellettuale dell'interprete si vedono
anche nel pudore con cui Arvigo si prende gli applausi finali prima perchè ancora dentro
il personaggio poi perchè travolta dal calore e dall'entusiasmo di un pubblico estasiato
e grato di avere visto sulla scena non un personaggio ma una persona. E chi scrive, per
Elena Arvigo ha solo una parola, anzi tre: vera, verissima, immensa.
La recensione di Alessandro Paesano
Visto il 07/06/2013 a Roma (RM) Teatro: Dei Conciatori