18 novembre 2013
4:48 Psycosis è l'ultimo testo poetico di Sarah Kane, visionaria e tormentata poetessa britannica,
suicida all'età di 28 anni nel 1999.
È un testo dalle molte interpretazioni, ambivalente, contiene l'anima dell'autrice in uno stato di
continua evoluzione di sentimenti, mutamenti e stasi, affermazione e rifiuto.
Il titolo rimanda a quell'ora notturna in cui, secondo alcune statistiche, vi è maggiore attrazione
verso il suicidio: per Sarah Kane le 4:48 rappresentano l'unico vero momento di lucidità e di
possibile salvezza. Secondo l'autrice questo è un testo che "parla di una depressione psicotica, di
quello che succede, cioè, nell'animo di una persona quando le linee di confine che permettono di
distinguere la realtà dalle diverse forme dell'immaginazione, si dissolvono completamente fino al
punto di non riuscire più a percepire la differenza tra la vita sognata e quella da svegli. Non si sa più
dove finisce l'individuo e dove comincia il mondo".
Ma, in realtà, è un testo che parla d'amore, quell'amore che si trasforma, incomprensibile,
necessario, che, se assente, diventa morte (a-mors).
Il testo, strutturato in forma di monologo, viene mirabilmente interpretato dall'attrice Elena Arvigo,
diretta dalla regista Valentina Calvani, L'io che parla e che si rivela al pubblico non rappresenta
semplicemente la condizione esistenziale di Sarah Kane ma sembra coinvolgere, attraverso le parole
e
l'interpretazione
dell'attrice,
tutti
coloro
che
assistono
al
dramma.
La parola è, in questo spettacolo, protagonista assoluta, unico mezzo di possibile esternazione; i
gesti si riducono lasciando completo spazio alla voce e all'ambiente in cui essa si espande.
L'attrice Elena Arvigo ha dovuto confrontarsi con una vastissima scala di sfaccettature emotive.
Lavorando sul personaggio, sul testo e sulla voce, è riuscita a trovare la giusta chiave di lettura e
interpretazione restituendo al pubblico una perfetta immedesimazione dei sentimenti descritti.
Intensa, decisa, fluida e veloce poi rotta, scattosa, fragile: non è una voce che arriva da un tempo
passato e neppure dal futuro, ma appartiene al presente, a chi sta veramente vivendo le parole
pronunciate in quel preciso istante.
Anche la scenografia, un interno di casa poco abitabile, rispecchia la mente della protagonista che
"sceglie di sbriciolarsi in mille frammenti confusi" raffigurati visivamente con specchi, cocci,
cornici vuote e orologi rotti. Gli elementi presenti sulla scena creano un percorso ad ostacoli
distribuito sul pavimento ricoperto di terra, unico elemento vivo, compatto, sicuro.
Così come la scenografia anche la scrittura è frammentata in piccoli spezzoni poetici che si legano
insieme fino a creare un flusso di pensieri.
Elenchi di sentimenti, di stati d'animo si confondono con l'elencazione di medicinali, psicofarmaci,
e più ci si addentra nel monologo e si scava nella solitudine e nella sofferenza, più i personaggi si
sdoppiano e dialogano tra loro attraverso l'unica voce narrante dell'attrice.
L'affermazione del fallimento di una vita costellata di dolori e sofferenze sembra prendere il
sopravvento eppure, proprio nel momento in cui tutto sembra perduto, un barlume di speranza torna
quando, aprendo le tende, la luce illumina il buio. Valentina Dall’Ara