Rapporto origini e garanzie materie prime VERSIONE DI SINTESI | Page 11
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approda il 70% dei prodotti agroalimentari che varcano i confini.
Ed è la Germania il primo mercato
‘accettore’: da sola vale circa il 20%
del totale (5 miliardi di euro su 25).
In un ambiente fortemente concorrenziale l’Italia cerca di aprirsi
nuovi mercati e, pur rimanendo
in valore relativamente limitate,
crescono le esportazioni verso i
già citati Paesi emergenti. Il percorso seguito è ben definito. Negli
ultimi 25 anni la domanda internazionale di prodotti agroalimentari si è orientata sempre più verso
prodotti elaborati e differenziati. Il
nostro sistema si è così aggiustato
e adeguato in modo tale che l’85%
delle esportazioni fosse costituito
da prodotti già pronti per il consumatore finale, il 15% proveniente
dal settore agricolo e il 70% dall’industria alimentare.
Un dato che fa emergere una delle
principali caratteristiche italiane:
quella di essere un Paese trasformatore di rilievo internazionale
in grado di rimanere sul mercato
con produzioni alimentari ad alto
valore aggiunto. E, ragionamento
consequenziale, va rimarcato che
senza la forte importazione di materie prime, destinate poi a essere
lavorate, verrebbe meno la linfa
per un’industria di trasformazione, vitale e competitiva anche in
un contesto economico difficile
come l’attuale. Torniamo ai singoli
prodotti agroalimentari per capire
quali siano i luoghi di provenienza
e quale impatto può avere il percorso che essi fanno per arrivare
in Italia. Citando anche solo i più
significativi il rischio di tediare un
po’ esiste, ma appare comunque
utile anche in funzione dell’analisi
successiva relativa ai controlli.
Il frumento tenero, destinato all’industria molitoria, proviene per il
70% dall’Unione Europea, mentre
il restante è quasi equamente diviso fra gli altri Paesi Ocse (Canada,
Usa, Giappone, Australia, Nuova
Zelanda, Israele, Svizzera, Norvegia e Islanda) e il resto del mondo.
Ben diversa è la situazione del frumento duro, le cui importazioni
sono legate solo per il 30% all’UE,
il 50% ai Paesi Ocse e il 20% agli
altri Paesi. È evidente l’incidenza
degli arrivi dagli Stati Uniti e dal
Canada. L’import dell’orzo è quasi
tutto europeo, così come la stragrande maggioranza di quello del
mais (81%), mentre la situazione si
capovolge se si entra nel comparto
dei semi oleosi e degli oli di semi,
per oltre tre quarti provenienti da
paesi extra-UE e non Ocse, Brasile
e Argentina in primis.
Il colosso carioca influenza poi anche il mercato dello zucchero. Se
è vero che gran parte delle importazioni arriva dai partner europei,
Francia e Germania soprattutto,
dai porti brasiliani proviene la
maggioranza di quel 39% di prodotto extra UE.
Guardando al comparto ortofrutticolo vanno segnalate alcune particolarità. Per evidenti motivi la
frutta tropicale è quasi in toto appannaggio dei Paesi extra-UE, che
hanno un’incidenza notevole anche nel comparto dei legumi secchi, dell’uva da tavola e dei pomodori trasformati, mentre in quelli
da industria le importazioni sono
di stampo UE. Gli agrumi, sui quali
l’Italia è comunque quasi autosufficiente, sono di origine UE (60%,
con la Spagna davanti a tutti) e per
il restante 40% in gran parte dal Sudamerica. Sostanzialmente molto più ‘europea’ la situazione dei
prodotti agricoli e agroalimentari
di origine animale. Se si esclude
il comparto ittico, le importazioni
in tutti i principali settori sono in
mano ai partner comunitari, con
Germania, Francia, Polonia su tutte. Il 100% delle importazioni dei
bovini, dei suini macellati, del latte
e dei formaggi è di impronta UE,
con percorsi meno ‘impegnativi’
per approdare ai confini italiani
anche se il Sud America anche in
questo caso è “alle porte”.
Combinando il grado di auto approvvigionamento e la provenienza dell’import si può costruire una
classifica delle categorie merceologiche più sensibili sotto il profilo
della sicurezza. Da qui si dipana la
seconda parte di questo rapporto,
dedicata ai controlli, alla garanzia
di sicurezza per tutelare al meglio
il consumatore finale, di fronte
all’effluvio di prodotti che, come
abbiamo visto, non può e non potrà essere prodotto in Italia.