Pubblicazioni e documenti Il borgo sull'alta riva: Castrum Ripaltae Siccae. | Page 29
uomini e animali morirono in gran numero.” Ora, se anche quanto afferma l’immaginoso storico friulano
può non essere preso alla lettera -specie per l’enfatica arditezza del confronto- rimane pur sempre credibi-
le l'eco di drammatica testimonianza dei cataclismi che colpirono la Padania in quei tempi, sconvolgendo
i corsi dei fiumi e allagando terreni che erano stati strappati con alterne fortune al putridume delle acque
stagnanti.
Da quanto detto prima, sembrerebbe ragionevole dedurre che nelle nostre terre nessun essere vivente
potesse sopravvivere a tante tragedie. Eppure non è così. Anche dopo le più immani sciagure, la vita
continua. Nelle capanne di legno coperte di paglia, nei cascinali sparsi, nei piccoli villaggi stretti attorno
ad una chiesina dal tetto di frasche e dal pavimento di terra, questi coriacei, ostinati e pazienti nostri
antenati ricostruirono nel tempo i germi della convivenza umana.
Non è ancora questo il tempo in cui si possa facilmente reperire qualche documento scritto che contribui-
sca a darci una sia pur vaga informazione sulla storia o sulle vicissitudini toccate al nostro paese. Anche il
fatto che non molto lontano da noi, a una decina di chilometri a nord e sempre sul fiume Adda, si fosse
stanziata una forte colonia longobarda che oltre a fissare per sempre un toponimo (Fara d'Adda), divenne
sede di un duca di così alta nobilità da essere poi nominato re -ci riferiamo ad Autari, il primo sposo di
Teodolinda, re dei Longobardi dal 584 al 590- non basta a soddisfare il nostro legittimo desiderio di
notizie, perché se Fara Autarena ebbe grande prosperità sotto il suo prestigioso signore ed estese il suo
dominio su tutta la Geradadda, nessun documento che riguardi le nostre terre è mai affiorato, nè, se c'era,
ha mai potuto superare la barriera impietosa del tempo.
Certo, sappiamo che a Fara (termine tipicamente longobardo che sta a indicare parentado, gruppo tribale
che si è staccato dal grosso e si è stanziato in una zona fatta propria con l'uso delle armi), oltre a ingrandi-
re una basilica già esistente per trasformarla in una grande chiesa di culto ariano, Autari costruì un palaz-
zo per sé e molte case dove potessero vivere le famiglie di quei guerrieri che presidiavano uno dei punti
più cruciali della via militaris che collegava la Liguria col Veneto, cioè quel Pons Aureoli (19) che tanta
importanza strategica aveva sempre rivestito fin dall'epoca romana.
(19) . Pons Aureoli, come narra Trebellio Pollione nella Historia Augusta, fu il nome dato al ponte già esistente a Pontirolo
sull'Adda (l'attuale Canonica) da M. Aurelio Claudio, il futuro imperatore Claudio II. Presso questo ponte, Aureolo (generale
di Gallieno, autoproclamatosi imperatore nel 268) fu sconfitto e ucciso da Claudio, il quale provvide poi a farlo seppellire
onorevolmente, facendogli anche porre sulla tomba un epitaffio in greco ancor oggi (III sec. d.C.) visibile che tradotto suona
cosi:
“Vittorioso sul tiranno dopo tante battaglie,
a buon diritto superstite
l'ormai felice Claudio ad Aureolo concesse
il sepolcro e l'onore dei morti.
Anche la vita gli avrebbe concesso,
se non fosse un dovere del buon soldato
negare la salvezza a tutti e soprattutto ad Aureolo.
Ma, per pietà, ne raccolse i miseri resti
a lui intitolando questo ponte e questo tumulo".
Traduz.: Fed. Roncoroni, Storia Augusta, Rusconi Editore, Milano 1972.