quando essi lasciarono la Pannonia, e per Guona( Leibach) e per la valle della Sava passarono le Alpi Giulie e invasero il Veneto, con le donne, i vecchi, i bambini e le suppellettili, sopra i carri dove dormivano la notte, erano mescolati a Bavari, Bulgari, Gepidi, Svevi e Sassoni( questi ultimi erano circa 20.000). Si ritiene dunque che, esclusi i Sassoni che sotto Clefi successore di Alboino abbandonarono l ' Italia per tornare alle loro terre d ' origine, il numero del Longobardi veri e propri fosse vicino ai 70.000( v. A. Saba, in Questioni storico-sociali sulle invasioni barbariche in Italia, Milano 1946); non molti certamente, dati i pericoli ai quali dovevano esporsi e le guarnigioni necessarie a presidiare le città occupate. Ma già Tacito(† 117 d. C.) aveva detto: " Pochi, i Longobardi: ma nobilitati dal loro scarso numero, perché valorosissimi "; e Velleio Patercolo(† 31 d. C.) ai tempi suoi aveva definito questa gente " germana feritate ferocior "(= più feroce della ferocia germanica), quella stessa gente che Gregorio Magno(† 604) chiamerà " foedum genus ", fetida razza. La conquista di Alboino, dopo il Veneto, la Lombardia, il Piemonte, l ' Emilia e buona parte della Toscana, si estese fino a Spoleto e a Benevento, sempre nell ' Italia continentale. I Bizantini conservarono la Romania, cioè le regioni litorali italiane( Liguria, Venezia e Istria, Esarcato, Pentàpoli, Ducato romano, Ducato di Perugia, Campania, buona parte delle Puglie e della Calabria, e le isole di Sicilia Sardegna e Corsica); avendo essi il dominio del mare e quindi dei litorali della penisola, sapevano bene che in ogni momento, quando avessero voluto, avrebbero potuto sbarcare le loro forze e colpire l ' invasore di sorpresa. Certo è che, questa divisione, segnò la fine dell ' unità politica d’ Italia, che non si ricostituirà più fino al secolo XX. Ma quello che ci interessa da vicino, oltre al fatto che il dominio dei Longobardi durò fino al 774( due secoli e più), è la condizione tristissima in cui vennero ridotte a vivere le superstiti popolazioni italiche. I Longobardi erano stati popoli nomadi, almeno sino alla loro venuta in Italia, e nemmeno quando si stanziarono qui, amarono il lavoro della terra; vissero sfruttando il lavoro degli altri mediante l ' hospitalitas e la ripartizione del terzo delle terre o dei loro prodotti. Le condizioni dei vinti, sotto il loro dominio- almeno fino ai tempi di Teodolinda e di Rotari- non si risollevarono dalla prostrazione causata dalla lunga guerra gotica. Tornarono le paludi e le foreste ad invadere immense estensioni di terre rimaste incolte: le città rimasero semiabbandonate perché i centri dell ' economia si spostarono nella campagna, nelle corti( le curtes), dove gli abitanti- ridotti alla semplice funzione di coloni o servi- concorrevano alla produzione per fornire di che vivere con larghezza ai nuovi padroni, cui spettava solo il dovere di difendere con le armi la terra di conquista, e ricavavano a stento il necessario per la propria sopravvivenza. La fame fu, in questo lungo periodo della nostra storia, il nemico principale contro cui dovette combattere la nostra gente. Scarsissimo il bestiame, da cui si sarebbe dovuto ricavare concime per ingrassare quei campi che, in un desolante circolo vizioso, non erano in grado di produrre sufficiente foraggio per alimentare una buona stalla. Spenti i commerci, decaduta l ' antica tradizione artigianale, rovinati i ponti e inghiottite le strade dalla vegetazione selvatica; gli scambi di merci fra un abitato e l ' altro si ridussero a piccoli baratti e i rapporti tra i gruppi umani divennero quasi inesistenti. Già nei primi tempi dell ' invasione longobarda, secondo le notizie forniteci da Paolo Diacono, " si abbatterono sul Veneto, sulla Liguria e su altre regioni italiche piogge torrenziali: dal tempo di Noè non si ricordava un diluvio simile. I campi e i poderi si trasformarono in pantani, e