Presentazione laboratorio "Una stanza per scrivere" LEZIONI DI DRAMMATURGIA | Page 39
PROCTOR Arrossisco del mio peccato.
Il dialogo teatrale è una catena di battute dove l'anello di congiunzione varia: domande,
reazioni, libere associazioni, parole ricorrenti. Esiste anche la possibilità di un dialogo molto
introverso, dove le cose che non si dicono sono più di quelle che si dicono. I passaggi logici o
associativi in questo caso sono più arditi. Più arditi ma ci sono. Questo tipo di dialogo non è da
confondere con un cambio continuo di discorso. Dite una cosa, poi un'altra che non ha nulla a che
fare, poi un'altra ancora: questo non è dialogo. Il dialogo è una catena. Potete spezzarla,
interromperla, ma se continuamente cambiate discorso vuol dire solo che non vi state prendendo la
responsabilità emotiva di quello che avete scritto precedentemente. O detto in altro modo, quel che
dice un personaggio non produce reazioni significative nell'altro. A un certo punto la catena si
interromperà, ma solo quando avrà esaurito il "suo" tempo. Qual è il suo tempo? Ciascuno deve
sentirlo per sé. È come la fine di un respiro. Nessuno può dirvi come respirare. Un silenzio,
un'azione, o l'ingresso di un personaggio, danno il via a una nuova catena. Il momento in cui la
catena si interrompe è prezioso, poiché vi permetterà di aggiungere delle parti che vi servono,
magari per lo sviluppo della storia. Essendo un punto in cui la catena si interrompe lo potete
allungare o accorciare come vi serve.
Che cosa distingue un buon dialogo da uno meno buono, più ordinario? La quantità di
significati che ci sono in ciascuna battuta. Immaginate che un uomo voglia corteggiare una donna, o
viceversa una donna voglia corteggiare un uomo. Potrebbe dirle/dirgli direttamente "mi piaci" o "ti
desidero", "ti amo", insomma quello che sente. Ma difficilmente la situazione glielo permette.
Allora è costretto/a a scegliere altre parole. L'intenzione rimane la stessa, ma quello che dirà è
diverso. Per chi guarda la scena, magari seduto al tavolino di fianco al ristorante, questa seconda
strada è molto più interessante. Così succede in teatro. L'ambiguità fra battuta e intenzione della
battuta fa la differenza.
MIRANDOLINA Perdoni, lasci che io abbia l'onore di metterlo
in tavola con le mie mani.
CAVALIERE Questo non è offizio vostro.
MIRANDOLINA Oh signore, chi son io? Una qualche signora?
Sono una serva di chi favorisce venire alla mia locanda.
CAVALIERE (fra sé) Che umiltà!
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