Portfolio 2018 | Page 27

30 | ECONOMIA Eco di Biella | GIOVEDÌ 12 APRILE 2018 VINO PROFUMO DEL TERRITORIO Due visite ne metodo classico”. Seguirà domenica 29 aprile la visita alle Can- tine del Castello Conti sul tema “E vo l u z i o n e del vino, aromi terziari e approfondimen- ti”. In entrambi gli appuntamenti il ritrovo è alle ore 15.45 direttamente sul posto. Info: 15 eu- ro singolo incontro, massimo 25 persone a incontro, prenotazioni 348-2106708, mail: leteatbi@cittadellar te.it La vinificazione dei passiti e gli aromi terziari I prossimi incontri di “Vino, il profumo del ter ritorio” si terranno a partire da domenica prossima 15 aprile all’Azienda agricola Mas- simo Pastoris di Viverone sul tema “Vinifi - cazione in bianco, passito e spumantizzazio- LA STORIA Massimo Pastoris: due ettari e mezzo di vigne sopra il lago A Viverone, nel regno dell’Erbaluce «La sfida del biologico è complessa ma è l’unica possibile: noi ci proviamo» Si sposta al di là della Serra la terza tappa di “Vino, il profumo del ter- ritorio”, un viaggio alla scoperta dei vini locali e dei territori in cui nascono, visitando piccole aziende vitivinicole del Biellese e dintorni. Anche in questo caso ci sarà un momento didattico, dedicato que- sta volta a “Vinificazione in bianco, passito e spumantizzazione meto- do classico”. E poi la visita alla cantina, la degustazione e, tempo permettendo, una puntata in vi- gna. Il tutto accompagnato dall’in - grediente più importante: il rac- conto dei protagonisti e del loro sogno di fare (e vendere) un vino di alta qualità nel nostro territorio. La storia di domenica prossima è quella di Massimo Pastoris: due ettari e mezzo di vigne, sulle colline che dominano il lago di Viverone, dove le uve Erbaluce danno vita a tre vini caratteristici della zona: il bianco Erbaluce di Caluso, il Pas- sito e lo Spumante metodo clas- sico. E poi, da un vigneto del vicino Castello di Roppolo - uno dei pochi coltivati a Nebbiolo in purezza - arriva anche un Nebbiolo un po’ particolare, non filtrato e con un solo travaso. E infatti proprio questa è la scom- messa di Massimo Pastoris: fare un vino il più possibile naturale, che raccolga e conservi tutte le carat- teristiche di un terroir da sempre votato alla viticoltura: «Io cerco di mantenere il più possibile quello che tiri fuori dalla vigna, e di tra- sferirlo nel vino: per questo da qualche anno non filtro e non fac- cio più ‘f lottare’ i mosti, cerco di togliere il meno possibile. E quindi essere vivente, non è una macchi- na, un rimedio può funzionare in un caso ma non nell’altro. Se non capisci l’origine del problema, non puoi risolverlo con una medicina miracolosa». VIGNE E CANTINE In pagina fo- to della cantina storica dell ’azienda Pastoris, Massimo Pastoris nella sua cantina con Gi- anni Moggio di I’m agricolo e la vigna presso l’anfiteatro di Vi ve ro n e D omenica la terza tappa di “Vino, il profumo del territorio” poi non voglio mettere sostanze chimiche che vanifichino il tutto, altrimenti è inutile lavorare tanto in vigna e in cantina…». Da quando vi siete dedicati al bio- logico? «La mia famiglia coltiva la terra da almeno tre generazioni: mio nonno coltivava la vite (e non solo) e del resto la zona era coperta di vigne, da Cavaglià a Burolo, ar- rivavano fino in cima alla Serra. Mio padre faceva un altro lavoro ma ha continuato a mantenere la vigna ‘storica’, vicino all’anfiteatro di Viverone, e mi ha trasmesso que- sta passione. Io, che avevo un di- ploma di geometra e lavoravo in banca, a 35 anni ho mollato tutto e ho iniziato a dedicarmi alla terra. Da una ventina di anni faccio l’a- gricoltore a tempo pieno: ho ri- modernato la vigna e ho piantato kiwi, per poter avere un reddito certo, perché il kiwi è molto ri- chiesto, quanti ne fai, tanti ne ven- di. Questo mi ha permesso di sgan- ciarmi dal problema di commer- cializzare il vino e, non avendo lo stress della vendita, ho potuto pun- tare sulla qualità, dapprima utiliz- zando la lotta integrata e poi av- vicinandomi al biologico». E’ difficile fare un vino biologico? «Non è facile per nulla: occorre conoscere e capire la pianta, il ter- reno, ci vuole la cultura e l’espe - rienza… quindi devi studiare, pro- vare, sperimentare, e si rischia an- che parecchio. Tanto più che devi combattere con gli enologi e i tec- nici, che ti dicono che è impos- sibile. Ma non c’è altra strada: ades- so i problemi in agricoltura stanno venendo fuori, a forza di usare mas- sicciamente la chimica. Parados- salmente, oggi si comincia a capire che la pianta è una cosa viva pro- prio perché alcune specie muoio- no, e non si capisce perché. L’a- gronomia ha una concezione mec- canicistica: hai un problema, vai al consorzio e ti danno un rimedio. Quando non funziona più, non ca- pisci perché: ‘ma come, gli ho dato il prodotto…’. Ma la pianta è un Come sta accadendo per i kiwi? «Esatto, qui i kiwi si coltivano da cinquant’anni, ma se per decenni compatti il terreno, è molto facile che poi ci sia l’asfissia radicale: non serve essere dei geni per capirlo, se la pianta non ha più ossigeno, è facile che muoia. Ma se cerchi di spiegare questo agli agronomi, si mettono a ridere: la moria dei kiwi per loro è irrisolvibile perché, per risolverla, dovrebbero andare alla radice del problema, ossia cambia- re la loro mentalità». Ma si riesce a campare facendo l’agricoltore? «Fare il contadino è un lavoro umanistico, se tu hai un approccio speculativo, puramente commerciale, come accade oggi, è meglio che lasci perdere, se uno guarda solo l’aspetto economico, il lavoro agricolo non regge, è troppo faticoso. E’ solo il piacere di fare quella cosa lì che ti compensa: stare all’aperto, potare, osservare le pian- te, vedere come reagiscono…». l Simona Perolo