Perchè la crisi | Page 81

Statuto dei lavoratori - Wikipedia Pagina 3 di 7 è detto che tale "agilità" possa aver giocato un suo ruolo socialmente utile nello sviluppo economico del periodo ma, dall'altro lato, esistono scuole di pensiero che contrastano con tale visione dello sviluppo economico di quegli anni. In questo contesto i rapporti di lavoro furono giudicati iniqui da un numero crescente di analisti, non solo della sinistra, e la stessa contraddittorietà delle pronunce giurisprudenziali, che nel frattempo si trovavano a gestire figure nuove, non di rado di malagevole compatibilità costituzionale o di ardua interpretazione pratica, segnalò l'indifferibilità di una soluzione legislativa che facesse luce sui reali intendimenti ordinamentali, perché la crescita del contenzioso, che ogni volta e per ogni caso evocava situazioni di grave drammaticità specifica, si nutriva anche di radicati contrasti fra princìpi. Gli Autunni Caldi Per approfondire, vedi la voce Autunno caldo. Le lotte sindacali, nel frattempo, iniziavano a catturare l'attenzione generale. Le rappresentanze sindacali erano fortemente politicizzate, poiché ciascuna di esse aveva un suo partito di pressoché diretto riferimento: a livello nazionale si distinsero, in particolare, la CGIL, la CISL e UIL (tecnicamente ormai divenute delle confederazioni), le quali sempre più spesso iniziarono ad operare in sintonia tra loro, sino ad essere collettivamente definite come "triplice alleanza" o, tout-court, "la Triplice". Furono le tre confederazioni a gestire con crescente presenza il progressivo deterioramento dei rapporti fra lavoratori e datori di lavoro, derivante da una condotta più dura delle imprese e dalle rivendicazioni forti dei lavoratori, che avrebbe poi condotto, negli anni settanta, all'apice della lotta e, in alcuni casi, della violenza. La lotta sindacale fu asperrima, almeno tanto quanto lo furono le reazioni della classe imprenditoriale, e le esasperate estremizzazioni politiche condussero a numerosi episodi conflittuali o violenti, contrapponendosi sempre più frequenti occupazioni di fabbriche (talune fra le più note) a sempre più duri scontri di piazza con le forze dell'ordine (si ricordano numerose aggressioni personali). Si espresse, questa lotta, in una contrapposizione costante che per taluni interpreti divenne antagonismo oltranzista ai rappresentanti della proprietà delle aziende che impiegavano forza-lavoro. Produsse campagne collettive per il riconoscimento del salario unico, per il rispetto dei contratti e per arginare la facoltà di licenziamento, divenuta frequente sia per i ripiegamenti produttivi dovuto a cali di mercato, sia per i non infrequenti fallimenti delle aziende. La classe imprenditoriale invece, quasi fisiologicamente, ribatteva che alla forza lavoro non poteva essere concesso di prendere parte alle decisioni in materia di politiche e strategie aziendali, considerando qualsiasi proposta in materia di gestione del personale (comprese le fasi di assunzione e licenziamento) che non fosse unicamente determinata dagli organi direttivi aziendali, come un'ingerenza non giustificata da alcuna ragione sociale. Le ventilate formule di "democratizzazione", per le quali - si sintetizzava - comitati di operai avrebbero potuto censurare le decisioni economiche e produttive, parvero agli industriali strumentali manovre per il rafforzamento di un già cospicuo potere dei sindacati di condizionare, da un lato, le attività economicoimprenditoriali e, dall'altro, quelle del governo. Lo slogan "partecipare alla elaborazione dei programmi produttivi" fu considerato e stigmatizzato come un indebito tentativo di sottomettere l'azione imprenditoriale a quella di alcune forze politiche, dalla quale l'attività delle tre confederazioni era scopertamente ispirata, e se ne segnalò la supposta perniciosità nella parte in cui, proprio poco dopo la stabilizzazione di un vero e proprio mercato internazionale, avrebbe posto pesanti limitazioni alla capacità