Perchè la crisi | Page 20

17 “Perché la crisi” inoccupati. E per la società questo ha un costo anche economico. Si avrà maggiore malcontento e instabilità non solo politica; domani più di oggi, ne risentiranno negativamente sia i gruppi che gli individui. E gli uni si metteranno contro gli altri. Le guerre di religione o tra regioni o nazionalismi, tanto per fare degli esempi, e nel migliore dei casi, semplici tensioni sociali, saranno degli sfoghi inevitabili che, guarda caso, salvaguarderanno e rafforzeranno “il potere sovranazionale”. I governi si ridurranno sempre più a semplici marionette del Grande Capitale che impazzerà a piacimento da un capo all'altro della terra. La cosiddetta “strategia della tensione” aveva una sua perversa logica in un ambiente relativamente “di non sopravvivenza” ed ha funzionato, permettendo al potere di fare i suoi porci comodi. Ma, quando non si ha da mangiare, c‟è poco da fare! Da cosa si vuole o si può distogliere l‟attenzione della gente?... e la paura ha una sua efficacia?... A tutto c‟è un limite. Le rivoluzioni sono sempre state provocate da fame e tasse. Alla base di questi nostri ragionamenti, è vero, la consapevolezza che in un periodo di recessione misure restrittive possono aggravare la crisi e che è puramente fanciullesca la considerazione secondo la quale si richiamano investimenti se si liberalizza, nel contesto studiato, il mercato del lavoro: questa, al pari della sognante convinzione del tiranno che impone nuove tasse e, contemporaneamente, immagina che la maggioranza della popolazione sia “con lui”. In condizioni di piena occupazione, ragionando in termini economici, potrebbero essere anche prese misure restrittive o di liberalizzazione del lavoro come quelle oggi proposte, nuocendo poco alle famiglie, all‟individuo e alla società, sebbene da un punto di vista morale, “di principio”, esse siano poco significative, povere, per non scrivere immorali. Viene così legittimo un sospetto. A certi gruppi o multinazionali, anziché la verità scientifica, interessa che uomini con incarichi di prestigio, prezzolati, trovino argomentazioni valide ad avallare le scelte e le strategie imprenditoriali proprie? L‟esperienza insegna che ai capitalisti (specie, medio-grandi), spesso, manca il senso del valore sociale della “proprietà” che posseggono: e quello che è peggio, lo Stato non lo rivendica e non lo custodisce con gelosia. Se le banche producessero escrementi, tanti nostri noti economisti, uomini di governi, anche dell‟Europa ed extracomunitari, appronterebbero studi scientifici con i quali dimostrerebbero che quella cacca è oro. E le banche e loro amici sborserebbero fior di quattrini per una campagna cosiddetta “d‟informazione” per convincere l‟opinione pubblica che così è. E alla fine, il popolo crederebbe veramente che quella cacca è oro (questo non è disprezzo del popolo, bensì coscienza della forza che hanno i mezzi di comunicazione Nino Marchese