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“Perché la crisi”
inoccupati. E per la società questo ha un costo anche economico.
Si avrà maggiore malcontento e instabilità non solo politica; domani più di
oggi, ne risentiranno negativamente sia i gruppi che gli individui. E gli uni si
metteranno contro gli altri. Le guerre di religione o tra regioni o nazionalismi,
tanto per fare degli esempi, e nel migliore dei casi, semplici tensioni sociali,
saranno degli sfoghi inevitabili che, guarda caso, salvaguarderanno e
rafforzeranno “il potere sovranazionale”. I governi si ridurranno sempre più a
semplici marionette del Grande Capitale che impazzerà a piacimento da un capo
all'altro della terra.
La cosiddetta “strategia della tensione” aveva una sua perversa logica in
un ambiente relativamente “di non sopravvivenza” ed ha funzionato,
permettendo al potere di fare i suoi porci comodi. Ma, quando non si ha da
mangiare, c‟è poco da fare! Da cosa si vuole o si può distogliere l‟attenzione
della gente?... e la paura ha una sua efficacia?...
A tutto c‟è un limite. Le rivoluzioni sono sempre state provocate da fame e
tasse.
Alla base di questi nostri ragionamenti, è vero, la consapevolezza che in
un periodo di recessione misure restrittive possono aggravare la crisi e che è
puramente fanciullesca la considerazione secondo la quale si richiamano
investimenti se si liberalizza, nel contesto studiato, il mercato del lavoro: questa,
al pari della sognante convinzione del tiranno che impone nuove tasse e,
contemporaneamente, immagina che la maggioranza della popolazione sia “con
lui”.
In condizioni di piena occupazione, ragionando in termini economici,
potrebbero essere anche prese misure restrittive o di liberalizzazione del lavoro
come quelle oggi proposte, nuocendo poco alle famiglie, all‟individuo e alla
società, sebbene da un punto di vista morale, “di principio”, esse siano poco
significative, povere, per non scrivere immorali. Viene così legittimo un sospetto.
A certi gruppi o multinazionali, anziché la verità scientifica, interessa che uomini
con incarichi di prestigio, prezzolati, trovino argomentazioni valide ad avallare le
scelte e le strategie imprenditoriali proprie? L‟esperienza insegna che ai
capitalisti (specie, medio-grandi), spesso, manca il senso del valore sociale della
“proprietà” che posseggono: e quello che è peggio, lo Stato non lo rivendica e
non lo custodisce con gelosia.
Se le banche producessero escrementi, tanti nostri noti economisti, uomini
di governi, anche dell‟Europa ed extracomunitari, appronterebbero studi
scientifici con i quali dimostrerebbero che quella cacca è oro. E le banche e loro
amici sborserebbero fior di quattrini per una campagna cosiddetta
“d‟informazione” per convincere l‟opinione pubblica che così è. E alla fine, il
popolo crederebbe veramente che quella cacca è oro (questo non è disprezzo
del popolo, bensì coscienza della forza che hanno i mezzi di comunicazione
Nino Marchese